Gelisio, l’argento olimpico per una carriera al top
La tiratrice zumellese: «È Renato De Menech il segreto del mio successo»

MEL. Il tiro a volo non è una disciplina sportiva adatta a tutti e proprio per questo riuscire a conquistare una medaglia diventa difficile. Anzi: un’impresa. E quest’impresa Deborah Gelisio, per vent’anni ai vertici mondiali del tiro a volo nella specialità del double trap e non solo, l’ha compiuta in maniera egregia, facendo conoscere il suo nome ovunque. Carica di medaglie e di gloria si è ora concessa un’intervista nella quale parla della sua carriera.
Come è nata la sua passione per il tiro a volo?
«Tutto è iniziato quando avevo 14 anni, quasi per gioco. In famiglia avevamo l’armeria, il campo di tiro e chi mi aveva preceduto bene o male aveva già intrapreso questo sport. In poche parole “giocavo in casa”. Da giovane assistevo spesso chi si esercitava nel tiro a volo, però non mi era mai passato per la mente di provare. Poi, una volta intrapresa questa strada, avevo deciso di iscrivermi alle prime gare, all’epoca venivano chiamate Criterium. A differenza di quelli odierni, dove sono presenti varie categorie distinte, quando gareggiavo io c’erano uomini e donne nelle stessa categoria. A livello italiano andavo a fare i gran premi e mi ritrovavo in pedana con avversarie del calibro di Roberta Pelosi e Pia Lucia Baldisserri, tiratrici oltretutto di forte carattere e di grande esperienza. Con questi leoni dovevi per forza di cose tirare fuori anche il tuo di carattere. Con gli anni ho iniziato a coltivare sempre più questa passione».
Quale la svolta della tua carriera?
«I campionati Europei juniores a Casalecchio di Reno nel 1991. Ricordo che mi avevano chiamato a Bologna per quella specialità che nessuno conosceva ancora: la double trap. Ero un’esordiente. Portai a casa la medaglia d’oro e con essa anche la prima convocazione in Nazionale, con la quale ero in seguito riuscita a vincere la prima prova di Coppa del Mondo a Il Cairo, in Egitto. Da quel momento è cominciata la mia carriera».
E che carriera! 10 ori Europei, 7 ori mondiali, senza contare le Olimpiadi. Ci sono state delle vittorie che ti hanno emozionato più di altre?
«Tutte le vittorie sono belle, perché ognuna ha la sua storia alle spalle, però l’argento a Sidney 2000 è stato il massimo. Una medaglia che ha coronato fatiche e sacrifici fatti negli anni. Ho un bel ricordo di quel momento e anche dell’Australia, dove ho avuto l’onore di conoscere tanti italiani che tifavano per me, trasmettendomi la loro emozione e accompagnandomi in tal modo alla conquista del podio. Al di là delle vittorie, direi però che sono le sconfitte che servono a far maturare e a completare un atleta, che non deve mai smettere di crescere e non deve mai pensare di essere arrivato al traguardo, neppure dopo una medaglia prestigiosa. Ogni gara, infatti, ha la sua storia e le sue emozioni, ti trasmette adrenalina e noi tiratori dobbiamo gestirci al meglio».
Lei le emozioni ha saputo gestirle al meglio...
«Si, ma lo sono stata anche per merito di Renato De Menech, mio primo allenatore, che mi preparava sia fisicamente che tecnicamente e che mi ha aiutato a crescere anche nel carattere. Con lui riuscivo ad avere una preparazione completa che mi permetteva di intraprendere al meglio questa esperienza nel tiro a volo, ponendomi sempre degli obbiettivi da raggiungere. È anche vero che il carattere uno ce l’ha o non ce l’ha, però se all’inizio non hai una persona che ti segue nella preparazione, non riesci a proseguire. L’allenamento è il primo passo verso il traguardo. Io mi sono affidata a lui e così ho fatto le mie fortune. De Menech mi ha seguito fino alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, poi da quel momento di allenatori personali non ne ho più avuti. Ho seguito la mia strada, allenandomi da sola e cercando di mettere in pratica quello che mi era stato insegnato. Avevo il Ct della Nazionale, ma chiaramente lui non ti segue a livello fisico e tecnico, perché partecipa ai raduni e vede la preparazione che hai in quel momento, chi è il più in forma e via dicendo».
Chi ha avuto come allenatore in Nazionale?
«Fino a Sidney 2000 Luciano Giovannetti, che mi aveva convocato dopo la vittoria di Casalecchio. Poi è stata la volta di Albano Pera, con il quale, sportivamente parlando, ho dovuto riscrivere le pagine del mio libro, rimettendomi in gioco e passando dal double trap alla fossa olimpica, cioè il trap. Un po’ la tenacia, un pò la fiducia di Pera e la voglia di farcela, mi hanno portato a disputare e vincere il Mondiale di Lonato proprio in questa categoria e a essere convocata per le Olimpiadi di Pechino nel 2008».
Poi ha saltato i Giochi di Londra nel 2012 e anche quelli di Rio dello scorso anno…
«Per Londra non è stata una mia decisione. Per partecipare bisognava aggiudicarsi la carta Olimpica, che non è nominale. Per Rio, per esempio, l’aveva vinta Silvana Stanco, a cui poi è stata tolta per essere assegnata a Jessica Rossi, detentrice del titolo olimpico. È stata una cosa rara, ma le scelte del Ct sono state queste e io non voglio entrare nel merito».
Quali sono stati gli avversari più tosti?
«Kimberly Rhode. Anche ora sta vincendo a destra e manca, ma anni fa eravamo io e lei a contenderci i titoli. L’avversaria più grande, però, era il piattello e lo è sempre stato per oltre vent’anni. Pensavo sempre a fare la mia gara senza pensare al risultato, perché i conti si fanno solo alla fine».
Quali i costi di questa disciplina?
«
Sono medio alti, perché uno deve iniziare procurandosi i piattelli, che vengono venduti in serie da venticinque, senza contare le cartucce, che possono costare 20 euro, e l’arma di base, per la quale puoi spendere 2 mila euro, ma si tratta di un acquisto che dura nel tempo. Poi, quando arrivi a determinati livelli, il costo aumenta sensibilmente, perciò andiamo anche sui 10 mila euro. Le armi più in voga? Sono la Beretta e la Perazzi».
Come vedi il movimento del tiro al volo in provincia di Belluno?
Ci sono degli atleti che in prospettiva potranno percorrere la tua stessa strada?
«Non vedo un seguito a quello che ho fatto io. Qui il tiro al piattello non è sentito e non c’è prospettiva come può esserci a Bologna e Firenze, per fare qualche esempio. Già Treviso è una zona più popolata di tiratori. E poi è difficile mantenere un campo di tiro e in seguito alla crisi economica sono stati più quelli chiusi di quelli rimasti aperti».
Quando ha deciso di dire basta con il tiro a volo?
«La prima volta nel 2012: dopo aver vinto gli Europei, avevo deciso di fermarmi per un anno, poi ho deciso di ritornare, disputando quest’anno le gare ad Acapulco. Ma ora ho la mia età», sorride, «e non ho più tempo, anche perché non riesco ad allenarmi con serietà per via degli impegni lavorativi durante la settimana. Mi sono qualificata alla finale di Coppa del Mondo, ma devo rinunciare».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi
Leggi anche
Video