Fochesato, quanti bei ricordi

Ciclismo. Il Giro parte in Alpago il 21 maggio, il racconto dell’unico della zona che fu professionista
Di Ilario Tancon

TAMBRE. Alpago terra di Giro d'Italia, il prossimo Giro d'Italia, che il 21 maggio partirà da Farra per approdare a Corvara. Alpago terra di ciclismo, strada e fuoristrada. Alpago terra di ciclisti. Alpago terra di un ciclista, con la c maiuscola. L'unico che dalla Conca è riuscito ad approdare al professionismo. Stiamo parlando di Gino Fochesato, di Tambre, classe 1948.

Nato a Introbio, in provincia di Lecco, ma di origini vicentine, da giovanissimo si trasferì in Alpago perché il papà lavorava come forestale in Cansiglio. Qualche calcio al pallone e poi la bicicletta. Con la quale scoccò la scintilla. Undicesimo alla prima gara, nel 1965, categoria Esordienti, in maglia Enal Tagliapietra Belluno. Sempre quell’anno anche un secondo posto e una vittoria, a Monte Berico. L'anno successivo, categoria Allievi, le vittorie furono ben quattro e tra queste quella in una delle classicissime del ciclismo giovanile veneto, la Vittorio Veneto-Cansiglio.

Nel 1967 il passaggio al Veloceclub Longarone, dilettante di terza categoria: tre vittorie. L'anno dopo, passato già dilettante di prima, altre tre vittorie, tra le quali la Trento Bondone. Nel '69 le vittorie furono addirittura 9 e, tra queste, il Campionato veneto. Altre sei vittorie tra il 1970 (suo il Giro del Piave) e 1971. Nel 1972 il passaggio alla Società ciclisti Padovani, uno dei sodalizi più importanti in Italia. Un'annata d'oro: dieci successi. Tra questi tre “perle”: l'internazionale Trofeo Martini in Francia, il campionato veneto e l'internazionale Trofeo Piva a Col San Martino. Gara, quest'ultima, nella quale terzo si piazzò un certo Francesco Moser.

In quell'anno fu anche prima riserva del quartetto della 4x100 alle Olimpiadi di Monaco. E, in maglia azzurra, disputò anche il Giro del Messico. Uno dei dilettanti più importanti, dunque, Fochesato. Uno che duellava con Moser e che spesso arrivava davanti a Giovanni Battaglin. Naturale che passasse professionista. Il “salto” avvenne con la maglia Dreher, la squadra che schierava, tra gli altri, Italo Zilioli e Michele Dancelli. Avventura breve, però, quella tra i “grandi”: durò appena due anni, 1973 e 1974.

«Proprio al Giro del Messico, all'ultimo anno da dilettante, contrassi l'epatite», spiega Fochesato. «Questo mi debilitò e nei due anni da professionista non fui in grado di far vedere quello che valevo. E smisi di correre».

Non poteva valer la pena continuare?

«Avrei potuto continuare ma non ero più il corridore di prima e preferii smettere».

Da dilettante è stato un signor corridore.

«Mi sono tolte belle soddisfazioni. Ho vinto un bel numero di corse. E ho firmato prima di Moser il contratto da professionista. Ero uno scalatore che sapeva vincere in pianura perché avevo coraggio e mi piaceva attaccare. Un campionato veneto l'ho vinto, battendo Battaglin, facendo in fuga da solo una settantina di chilometri. Ero anche un po' ribelle: ho sempre voluto fare quello che volevo io. Mi piaceva allenarmi: facevo 180 chilometri un giorno sì e uno no. Negli anni da dilettante facevo 25 mila chilometri a stagione, da professionista 30 mila».

Tecnicamente che ciclismo era quello?

«Più di forza rispetto a quello attuale dove si privilegia l'agilità. Giusto per capirsi: le Tre Cime (Fochesato le affronto al giro del 74, vittoria di Manuel Fuente su Baronchelli ndr) si scalavano col 43x26».

Quale il corridore che più l'ha impressionata?

«Merckx. Uno capace di toglierti di ruota in maniera impressionante».

E dei corridori di oggi?

«Mi piace Contador perché ha coraggio. Attacca anche quando tutto sembra finito. E poi il giovane Diego Rosa, dell’Astana. Quest'anno al Giro di Catalogna ha vinto il tappone con un gran bel numero: attaccando con coraggio e facendo oltre cento chilometri in avanscoperta. Difficile vedere attaccanti nel ciclismo di oggi. Del resto squadre e logiche di gara sono diverse. Una volta, tranne la Molteni, di squadroni strutturati come ora non ce n'erano. Ora sono tutti strutturati e il ciclismo ha perso un po' di fascino».

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