Ercolessi, i bei ricordi bellunesi di uno dei mostri sacri del futsal

Due anni alla Canottieri per il capitano della nazionale tre volte campione d’Italia con Marca Trevigiana, Luparense, Pescara
Belluno, 22 settembre 2007. Prima partita della stagione 2007-2008 di Calcio a 5. La Canottieri Belluno supera per 3-1 un mai domo Aosta
Belluno, 22 settembre 2007. Prima partita della stagione 2007-2008 di Calcio a 5. La Canottieri Belluno supera per 3-1 un mai domo Aosta

BELLUNO

All’epoca era un giovane di belle speranze. Di qualità ne aveva, gli addetti ai lavori se ne accorsero subito. Ma che potesse laurearsi ben tre volte campione d’Italia con Marca Trevigiana, Luparense e Pescara, e soprattutto diventare campione d’Europa con l’Italia, chissà in quanti ci avrebbero scommesso. Marco Ercolessi, da poco 34enne, è tra i simboli del futsal azzurro. Oltre alle statistiche di squadra, ecco a voi il primo non oriundo a raggiungere quota cento presenze in nazionale, di cui ora è capitano. Una lunga carriera, cominciata nel 2002 al Petrarca Padova e proseguita poi tra Luparense, Venezia, Marca Trevigiana, ancora Luparense, Pescara, Kaos, di nuovo Pescara, Acqua e Sapone, Feldi Eboli e, da qualche giorno, Sandro Abate Avellino. Alt, qualcuno forse si è accorto della mancanza di un club. Lo sappiamo, ma d’altronde è stato questo il principale collegamento per la chiacchierata. Stagione 2006-2007 e 2007-2008, lì all’allora Pala Lambioi la Canottieri Belluno dimostrava all’Italia del calcio a 5 intera come, anche ai piedi delle Dolomiti, questo sport potesse regalare spettacolo e qualità. Gli anni ruggenti biancoblù, della A sfiorata, dei campioni acquistati e dei talenti lanciati. Tra cui Ercolessi.

Ricercando alcune informazioni, mi sono accorto che diverse squadre in cui lei ha giocato ora non esistono più. Solito problema cronico del futsal. La Canottieri, invece, è sempre lì.

«Belluno prima e Venezia poi hanno avuto il merito di temprarmi. L’accettare Belluno fu un mettersi in gioco, lasciando casa mia e gli affetti per trasferirmi in un appartamento con altri ragazzi. È servito parecchio ad imparare a relazionarmi con le problematiche del vivere quotidiano e quant’altro. Ma ebbi la fortuna di conoscere persone fantastiche. Come i fratelli Bortolini».

Alvise ed Alessio, ancora anime della Canottieri...

«Uno presidente e l’altro compagno di squadra, all’epoca. Persone spettacolari, proprio qualche settimane fa ho scritto ad Alvise dopo un suo post musicale nel periodo del lockdown. Alessio invece era uno spasso, una grande persona nello spogliatoio. A Belluno si lavorava e credo si lavori tutt’ora bene. Altrimenti non riesci a rimanere così a lungo nelle categorie nazionali, specie in uno sport come il nostro. Li porto nel cuore, assieme ad altre persone. Come ad esempio Antonio Fiabane».

Furono due anni diversi, ma entrambi gratificanti.

«Subito mancammo di poco la serie A, perdendo la doppia semifinale playoff contro il Cagliari. L’anno dopo credo ci fu un settimo posto conclusivo. Ho avuto il piacere di condividere il campo e lo spogliatoio con gente davvero brava: penso a Bitencourt, Dalle Molle, gli idoli dei tifosi Eder Salomao e Anderson».

Un giocatore merita inoltre una menzione speciale: Daniele Bargellini.

«Ho avuto la fortuna di conoscerlo ai tempi del Petrarca Padova, ritrovandolo poi a Belluno. Molto solare e di grande compagnia, da subito mi aiutò in particolare con l’approccio alla nuova esperienza. Siamo entrambi in un gruppo whatsapp fatto da ex giocatori del Petrarca e a volte rivedo le sue cavalcate da porta a porta…».

Capitano della nazionale. Ha vinto un europeo, un bronzo mondiale e si è tolto belle soddisfazioni. A fine gennaio, però, siete stati eliminati dalla corsa al prossimo Mondiale. Cosa prova ora, ripensandoci?

«Negli anni sono maturato e ciò aiuta a crescere e reagire meglio a delusioni comunque brucianti. Non ci ha eliminato la sconfitta contro il Portogallo, giocarci la qualificazione in casa loro all’ultima partita poteva essere un’insidia. Il problema è stato non battere la Finlandia».

Mancare due edizioni consecutive del mondiale nel calcio a 11 e nel calcio a 5 dovrebbe fare riflettere...

«Eccome. Noi pensiamo sempre di essere al top quando in realtà rimaniamo fermi. Altri invece, vedi il Portogallo ma non solo, progrediscono. Così loro nel futsal sono tra le nazionali migliori al mondo, nel calcio a 11 si sono portati a casa un Europeo e sono campioni mondiali ed europei di beach soccer».

Noi crediamo spesso di poter vivere di rendita…

«Io sono molto critico in generale. In questo sport che amo, nelle settimane di lockdown non ho mai sentito parlare degli aspetti che veramente contano. Si ignorano i problemi reali, il ricambio generazionale, le difficoltà vere da superare. Nel futsal pretendiamo di arrivare al livello della Spagna ma facendo in pochi mesi quanto loro hanno inseguito per dieci, dodici anni. Il tempo per programmare in questi due mesi l’abbiamo perduto. Prima del Mondiale in Colombia nel 2016 ci siamo allenati ad Ostia, lì dove si trova il centro sportivo degli sport di combattimento. Hanno meno soldi, minor visibilità, eppure chi ci lavora ha competenza. Il calcio in generale è uno sport semplice e chiunque pensa di poter dire la propria. Sembra l’unico pensiero del calcio a 5 ora sia andare su Sky. Ma una visibilità del genere la ottieni quando sei pronto, altrimenti vai a fare brutte figure».

In più si intravedono pochi Ercolessi tra i giovani.

«Di ragazzi tecnicamente più bravi del sottoscritto ce ne sono parecchi. A volte però dipende da chi incontri lungo il tuo cammino. I miei primi allenatori sono stati Miguel Rodrigo e Jesús Velasco, ancora oggi due dei maestri del calcio a 5. Serve poter avere accanto persone desiderose di insegnare. Inoltre manca la voglia di sacrificio in tanti giovani». —



Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi