Bertelle gigante al Tor de Géants «Ho dormito sei ore in 4 giorni»
Il feltrino racconta la sua impresa in Valle d’Aosta: 330 km e 24 mila metri di dislivello portati a termine in 98 ore

. 330 chilometri e 24.000 metri di dislivello positivo portati a termine in 98 ore 31 minuti, alle media di 3,4 chilometri orari. Il tutto dormendo complessivamente poco più di sei ore.
È stata questa l'impresa di Alessandro Bertelle, finisher dell'edizione 2019 del Tor des Géants, la gara ultra trail, decima edizione, che si si svolge sulle Alte Vie della Valle d'Aosta.
Lo chiamano il Giro dei Giganti (in patois), ed è l'evento che si snoda al cospetto di Bianco, Cervino, Rosa e Paradiso. E “giganti” sono anche coloro che lo portano a termine.

Un'impresa. Senza aggettivi. Un'impresa e basta.
«Più che una gara questo evento è un viaggio, un viaggio fisico e mentale», esordisce Bertelle, classe 1983, feltrino di Pren che però da qualche anno vive e lavora nel Vicentino.
Prima di parlare del Tor, facciamo un passo indietro. Come nasce la tua passione per il trail e l'ultra?
«Data 2007 quando, insieme a un gruppo di amici, decidiamo di fare la Transcivetta. È da sottolineare che di sport, dopo i sedici anni, non ne avevo più fatto. Ad aprile comincio ad allenarmi e a luglio corro la Transcivetta, in tre ore e mezzo».
Poi?
«Poi continuo. L'anno successivo corro la Ccc (la 100 chilometri che costituisce una delle gare di contorno dell'Ultra trail du Mont Blanc ndr). Via via affronto, tra le altre, la Lavaredo Utra trail (la gara di Cortina, 120 chilometri e 5800 metri di dislivello, ndr) e l'Utmb (a Chamonix, Francia, 170 chilometri e 10 mila metri di dislivello)».
La gara del cuore?
«La Dolomiti Sky run, andata in scena per tre edizioni dal 2014 al 2016. Partenza da Braies e arrivo a Belluno, lungo i sentieri dell'Alta Via numero 1, sulle montagne di casa. Era la gara che sentivo di più. Sono arrivato terzo il primo anno, sono saltato il secondo, secondo nel 2016».

Veniamo al Tor.
«Nel 2017 mi sono preso una anno di pausa, vuoi un po' per alcuni problemi fisici, vuoi soprattutto perché sono diventato papà. Ho ripreso nel 2018 e, per il 2019, come obiettivo mi ero dato la partecipazione al Tor. Ho iniziato a prepararmi a gennaio. Sono stato fortunato al sorteggio di febbraio (i 750 concorrenti dell'event valdostano sono sorteggiati tra gli oltre 2 mila che si iscrivono, ndr) e ho così proseguito con gli allenamenti».
Già, gli allenamenti. Come ci si prepara tra lavoro e famiglia?
«Innanzitutto occorre serenità. La preparazione e l'avvicinamento alla gara devi viverli bene, con impegno ma con leggerezza allo stesso tempo. Senza andare in paranoia se perdi un allenamento, senza stressarti eccessivamente, altrimenti salti. Poi devi allenarti tanto: io l'ho fatto partendo con gli sci alpinismo parte a piedi, mettendo su oltre 3 mila chilometri per un dislivello di 176 mila metri. Nella preparazione ho inserito anche la Lavaredo Ultra Trail (46° in 16h29'52” ndr) e la Transcivetta (10ª posizione in 2h26'30”, insieme a Federico Pat). In più, insieme a Ivan Giordano, ho percorso l'Alta Via numero 2, da Bressanone a Croce d'Aune: ci abbiamo messo 41 ore, senza dormire mai, neanche un microsonno. Una cosa che ho curato molto in vista del Tor, cosa che mai avevo fatto prima, è stata l'alimentazione. Mi sono fatto seguire da uno specialista e ha fatto la differenza. Diciamo che ho mangiato di tutto un po', riscoprendo il mangiare semplice e sano. Una sorta di ritorno alle origini, eliminando in particolare zuccheri e bevande zuccherate».
A settembre il Tor, portato a termine in 33ª posizione, in meno di 100 ore.
«Al di là del piazzamento e del tempo, quello che porto dentro del Tor sono i paesaggi infiniti che ti fanno da cornice e la gente meravigliosa che ti incita. Del Tor porto dentro anche mia figlia Vittoria, che all'ultima base vita mi ha servito la pasta e le patate, e la mia compagna Claudia, orgogliosa di me dopo avermi sopportato per tanti mesi. Ma il Tor evidentemente è stato anche fatica fisica. Dopo il duecentocinquantesimo chilometro ho sofferto per un problema al tibiale infiammato, problema che i fisioterapisti hanno risolto con messaggi e bendaggi».
Quanto hai dormito nei quattro giorni di Tor?
«Ho dormito due volte per due ore e mezzo, una volta per un'ora. E un paio di microsonni da cinque minuti».
Come si può resistere per tanto tempo dormendo così poco?
«L'aspetto fondamentale è quello mentale. Mi piace sottolineare che, paradossalmente, ti salva il non avere testa. Devi dare ascolto alla testa solo per governare il fisico, per il resto devi spegnere il cervello perché se la mente divaga su altro, sei finito, ti fermi».
Perché fai ultra trail e perché sempre più gente lo fa?
«Perché corro in realtà non lo so. So solo che se non lo faccio sto male. Il trail per me non è tanto una gara quanto un'esperienza di vita, un immergermi nella natura. E credo che tanta gente si avvicini al trail proprio per questo: per ritrovare un equilibrio staccando dalla vita frenetica di ogni giorno nella quale siamo immersi.Il trail poi è bello anche per l'atmosfera che c'è tra i partecipanti: quasi uno spirito di fraternità». —
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