Battaglin e l’impresa sulle Tre Cime «Ero stanco, ma dovevo attaccare»

Ilario Tancon / Marostica
Uscirà a breve “48 giorni”, la biografia di uno dei ciclisti italiani più importanti degli anni Settanta e Ottanta, lo scalatore vicentino Giovanni Battaglin. 48 giorni, vale a dire quel mese e mezzo tra fine aprile e inizio giugno 1981 nel quale l’atleta di Marostica conquistò la Vuelta a España e il Giro d’Italia. Un numero pazzesco, riuscito finora solamente all’immenso Eddy Merckx. L’amarillo di Spagna e la rosa d’Italia, accoppiata da leggenda che sulle strade bellunesi visse uno dei momenti più esaltanti. Una giornata che portò in cima alla classifica Battaglin e che ripercorriamo proprio col ciclista vicentino.
La tripla, il tamponamento
e la rosa alle Tre Cime
Il 5 giugno del 1981 il Giro d’Italia proponeva la ventesima e terzultima tappa, la San Vigilio di Marebbe – Tre Cime di Lavaredo, appena 100 chilometri con scalata al Passo Tre Croci da Cortina e poi l’ascesa dai 1761 metri di altitudine di Misurina ai 2304 metri del rifugio Auronzo, ultima asperità della corsa rosa (7. 2 km di sviluppo, con punte di pendenza al 18%) prima della Auronzo– Arzignano e della crono Soave – Verona.
«Il giorno prima avevo vinto a San Vigilio di Marebbe, mancando la maglia rosa, rimasta sulle spalle di Silvano Contini, per appena 3”. La giornata delle Tre Cime era dunque quella decisiva per conquistare la rosa e poi cercare di difenderla nella crono di Verona. Dovevo attaccare», racconta Battaglin, «ero stanco ma determinato e, per la salita verso il rifugio Auronzo, avevo messo a punto un telaio con un tubo piantone meno inclinato e una moltiplica speciale, una tripla con 36-41-53. Dietro avevo il 13-22. Abbiamo tenuto la corsa cucita fino al Tre Croci, poi nella discesa verso Misurina sono andati via due svizzeri, prima Beat Breu, che vincerà la tappa, poi Josef Fuchs, che sarà secondo. Io ho provato a inseguirli ma nessuno degli uomini di classifica mi dava una mano e allora ho desistito. La vittoria di tappa era andata ma quello che contava era la generale. Dopo Misurina e verso il lago Antorno, i primi scatti tra noi di classifica», va avanti Battaglin, «tutti aspettano il mio attacco. Qualcuno si stacca, si stacca anche la maglia rosa, rimane con me solo lo svedese Tommy Prim. Ai due chilometri e mezzo va in testa, ma è un bluff. A un chilometro e mezzo lo stacco e vado a conquistare il terzo posto a una quarantina di secondi da Breu. Soprattutto, conquisto la maglia rosa, osannato dalla mia gente salita in gran numero lassù. Una cosa folle la gente che c’era, una marea di tifosi», dice ancora il professionista vicentino che, dopo la carriera agonistica, ha dato vita a un’azienda di produzione di bici da corsa, ora “Officina Battaglin”, «non vedevo la salita, non vedevo le montagne. Davanti agli occhi solamente un muro di persone che si apriva a mezzo metro da me. Ero accompagnato dalla paura che non si levassero in tempo. Ed ebbi anche uno spavento immenso quando la ruota anteriore di una delle moto del seguito centrò la mia ruota posteriore. Per fortuna il tamponamento non ebbe conseguenze e al rifugio Auronzo, dove arrivai a una quarantina di secondi da Breu, indossai la maglia rosa. Meraviglioso. Immensi furono, due giorni dopo, il boato che mi accolse all’Arena e la mia soddisfazione dopo averla conquistata definitivamente, quella maglia conquistata alla Tre Cime, dopo la battaglia a cronometro sui 42 chilometri tra Soave a Verona con Prim e Saronni, finiti nell’ordine nella generale».
Il Duran a mille all’ora
e il braccio alzato a Pecol
Anche l’anno prima della doppietta Vuelta – Giro, Battaglin era stato protagonista alla corsa rosa sulle strade bellunesi. Era il 3 giugno del 1980 e si correva la diciottesima tappa, da Sirmione a Pecol, 239 chilometri non difficilissimi, con due ascese nel finale, il Duran da Agordo e la salita da Dont a Pecol. «Salite che non conoscevo», dice Battaglin, «infiniti chilometri di pianura dove nulla è accaduto nella prima parte di gara. Dopo Careano San Marco abbiamo cominciato a fare un bel passo e, in vista di Agordo, è cominciata la bagarre per portare gli scalatori e gli uomini di classifica in testa al gruppo. Ricordo che a un chilometro dall’inizio del Duran, foro. Il gruppo va a mille all’ora e io rimango fermo. Mi aiutano due gregari. Pancia a terra per tre chilometri. Dopo La Valle arrivo in testa al gruppo, con Panizza maglia rosa, Hinault e i Bianchi. Davanti, da solo, c’è Leonardo Natale. Prendo fiato per un po’. Poi scatto per vedere cosa succede. Prendo qualche metro e insisto, raggiungo Natale, lo supero e passo primo al gran premio della montagna. Dietro transitano a una ventina di secondi. La discesa è stretta e difficile, mi butto a kamikaze e in fondo ho un minuto. La strada ricomincia a salire e io tiro dritto, arrivando al traguardo con un paio di minuti di vantaggio. Peccato che Prim e Panizza si siano fatti la guerra. Fossero rimasti a ruota di Hinault, forse sarei riuscito a prendere la maglia. Chissà. Ma quel Giro non lo avrei mai vinto: Hinault, che due giorni dopo Pecol fece l’impresa dello Stelvio e si vestì di rosa, era troppo forte. Ma arrivai sul podio, terzo a 6’30” dal bretone e a 47” da Panizza». —
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