Alessandro Gazzi, il calciatore scrittore. «Il mio racconto sarà pubblicato a maggio»

Il santagiustinese ora gioca nell’Alessandria in serie C e ha vinto un concorso letterario. «La scrittura è il mio grande hobby»

SANTA GIUSTINA

Alessandro Gazzi è il “calciautore” italiano per eccellenza. Una carriera lunga e ricca di soddisfazioni, girovagando per l’Italia.

Da Palermo a Torino passando per Bari. La serie A è stata la sua casa a lungo, prima di un fisiologico declino da rimandare esclusivamente all’età che avanza. Per Alessandro come per chiunque altro.

A trentasette anni suonati, Gazzi continua a corre e sudare indossando la maglia della gloriosa Alessandria in serie C.

Smettere? Neanche a pensarlo. Il tutto con un hobby fisso nella testa che ne fa un calciatore atipico, lontano anni luce dagli stereotipi dei giorni d’oggi: scrivere.

Partiamo da qui, come nasce la tua passione per la scrittura?

«Sono sempre stato appassionato di cinema e di musica. Sono molto curioso, ho sempre letto tanto. Riviste soprattutto, cose comunque leggere, non impegnative. Poi nel 2014, facendo un lavoro mentale, mi sono ritrovato a scrivere dei testi. In quel momento ho capito che quello sarebbe diventato il mio hobby preferito. Scrivere oggi è il mio passatempo, anche se di tempo non ne ho tantissimo tra partite ed allenamenti. Appena posso però ne ritaglio un po’ da dedicare alla cultura. È un lato nuovo di me stesso che ho ignorato per tanto, troppo tempo».

Un hobby evidentemente redditizio o comunque molto positivo se è vero che hai vinto di recente anche un premio.

«Durante la scorsa estate ho partecipato per gioco ad un concorso. Bisognava scrivere un breve racconto legato al mondo del calcio. Il mio è stato considerato uno dei migliori dieci ed entrerà a far parte di una raccolta promossa da un editore indipendente (66th) la cui uscita è programmata per maggio. Ho scritto quel testo considerandolo una sfida con me stesso. Un modo alternativo nel mettermi in gioco, io che ho sempre concentrato le mie sfide sul campo».

Di cosa parla il racconto?

«S’intitola “dieci minuti” e ruota attorno ad alcune sensazioni vissute in campo in una determinata partita. Quale? Un Bari-Salernitana del 2009, una partita normalissima che non metteva in palio nulla di particolare se non i tre punti. Alla fine vincemmo noi 1-0, non so perché ho scelto proprio quella partita che considero come uno dei ricordi più belli della mia carriera. Di partite ben più importanti di quella ho avuto la fortuna di disputarne tante ma quel Bari-Salernitana la ricordo in modo particolare e del tutto diverso dalle altre. Racconto tutto in prima persona, sento mio quello scritto».

Detto di quel Bari-Salernitana che rappresenta uno dei ricordi più belli della tua carriera tanto da dedicarci un racconto, quali altri pagine della tua lunga carriera ricordi maggiormente?

«Non ho una o più partite da menzionare. Sono orgoglioso del percorso che ho fatto. In modo particolare, sono orgoglioso di come sono riuscito a ribaltare ogni volta quelle situazioni negative che non mancano mai nella carriera di un calciatore. Impegno e sacrificio non sono mai mancati: sono queste le cose che ricordo con gioia e soddisfazione».

Qualche rimpianto l’hai avuto?

«Mai, un rimpianto equivale ad una sconfitta».

Tu sei originario di Santa Giustina. Che rapporto hai con la terra natìa?

«Tutta la mia famiglia vive ancora lì. Ho vissuto a Santa Giustina fino ai 18 anni, poi il calcio mi ha allontanato. Mia moglie è romana, abbiamo tre figli. Anche la famiglia ha contribuito a tenermi lontano da casa ma il mio resta un rapporto molto forte con il bellunese dove torno ogni anno almeno dieci giorni d’estate ed a Natale quando capita di non giocare. Fino a qualche tempo fa seguivo con interesse anche le vicende delle principali squadre di calcio del territorio, Belluno ed Union Feltre. Devo ammettere che ultimamente non l’ho fatto più in maniera costante ma saltuariamente, riprenderò a farlo con maggiore impegno. Promesso».

Che esperienza è quella che stai vivendo attualmente ad Alessandria?

«Inutile nascondersi, sono a fine carriera. L’età avanza, quello che dovevo fare l’ho fatto. Sono a posto con la mia coscienza. Continuo ad allenarmi tutti i giorni con grande impegno. Forse anche più di prima perché a quest’età se non stai bene fisicamente fai poca strada. Il calcio di oggi, soprattutto in serie C, vive un contrasto generazionale marcato. Il mio impegno è quello di tenere testa ai più giovani. È uno stimolo ed al tempo stesso una sfida. Voglio dimostrare, soprattutto a me stesso, che ho ancora il passo giusto per stare dietro a chi ha quindici, venti anni meno di me».

Una volta appese le scarpette al chiodo, Alessandro Gazzi cosa farà?

«Sinceramente non ci ho mai pensato, ritengo non sia ancora il momento per farlo. Voglio ancora dare qualcosa sul campo, nel frattempo però ho intrapreso un corso in scienze motorie. Voglio approfondire quelle tematiche legate allo sport ed all’attività fisica che da calciatore spesso ignori perché hai altro a cui pensare. Magari il mio futuro sarà questo».

Chiusura inevitabile, legata all’imperversare del coronavirus in Italia che ha messo in ginocchio anche il mondo del calcio. Come andrà a finire?

«Davvero non ho una risposta. Non so cosa pensare, di certo non ci sono ad oggi le condizioni per tornare in campo. Ci affidiamo alle comunicazioni ufficiali e nel frattempo cerchiamo di mantenerci in forma in modo autonomo».

Gianluca De Rosa

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