Veneto al voto in autunno: perché Salvini non gioisce né si dispera
Dover chiudere subito il braccio di ferro con Meloni sulla regione più ambita, nel novero di un pacchetto di candidature da spartire, può dargli il destro di dire a Giorgia «a noi lasciate il Veneto e voi prendete il resto»


Lasciamo per un attimo sospesa la questione di chi tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni può avvantaggiarsi da questo sviluppo, peraltro auspicato a palazzo Chigi. Presto detto: lo stop del Consiglio di Stato al rinvio del voto in Veneto toglie la premier dall’imbarazzo nei confronti di una richiesta difficile da giustificare, ma fa comodo anche al leader del Carroccio. Vedremo perché.
Se c’è uno sconfitto, quello è di sicuro Luca Zaia, che si ritrova in buona compagnia: poiché una figura poco edificante la fa di sicuro il ministro degli Interni. Il quale si spinse a dire mesi fa che non vedeva ostacoli a che si svolgessero le elezioni regionali venete nella primavera ’26. Un abbaglio non indolore per colui che è titolare del corretto svolgimento delle chiamate alle urne in Italia.
Tolto questo, che non è un dettaglio, Zaia ha provato a far valere le sue ragioni, poggiando la formale richiesta di rinvio sul dettato normativo regionale che fissa la finestra del voto in primavera-estate. Ma questa bocciatura “istituzionale” certo non lo rafforza nelle aspirazioni di futuri incarichi, magari governativi; anche se potrebbe vantare un credito, in quanto il governo avrebbe potuto varare una legge ad hoc per accontentarlo e non lo ha fatto: quindi qualcuno è in debito con uno come lui, che porta al centrodestra centinaia di migliaia di voti nel Nord produttivo.
Forse il Doge non è stato aiutato dalla sponsorizzazione di Salvini allo slittamento del voto per fargli celebrare le Olimpiadi a Cortina, visto che fare un dispetto al Capitano è sempre un piacere per i Fratelli-coltelli d’Italia. Ma il segretario della Lega in fondo non perde granché: mettere subito le cose in chiaro su chi guiderà la campagna in Veneto gli regala un vantaggio. Se, come sembra e salvo smentite, la premier e i suoi paiono disposti con enorme sofferenza a cedere di nuovo alla Lega la primazia sulla candidatura, meglio incassare subito l’assegno.
Certo a prezzo di cedere a FdI una sfilza di assessorati di peso in Regione, mirati a formare in cinque anni una solida classe dirigente veneta. Così come pare scontato che Meloni rivendicherà, quando sarà il momento (2028), la candidatura in Lombardia e forse in Fvg.
Quindi Salvini non gioisce, ma neanche si dispera. Dopo il tormentone sul terzo mandato e l’incognita sulla data, la partita delle candidature alle regionali subirà una forte accelerazione: e dover chiudere subito il braccio di ferro con Meloni sulla regione più ambita, nel novero di un pacchetto di candidature da spartire, può dargli il destro di dire a Giorgia «a noi lasciate il Veneto e voi prendete il resto».
Il che vuol dire che, oltre alle Marche, dove correrà l’uscente governatore di FdI, Francesco Acquaroli, la premier si aggiudicherà anche la candidatura di centrodestra in Campania: dove non è detto che il combattivo Enzo De Luca voglia far convogliare i suoi consensi sul centrosinistra.
Se non in un ribaltone scandaloso, i Fratelli di Giorgia si accontenterebbero di vedere lo Sceriffo De Luca seduto sui frangiflutti di Mergellina senza muovere un dito per aiutare la segretaria del Pd che ha costruito la sua fortuna sulla cacciata dei “cacicchi”. Perché vincere la Campania per Meloni significherebbe aggiudicarsi un grosso boccone, pari al Veneto.
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