Sexy ricatto a un ex socio, 8 mesi a Vanin

Condannato il grande accusatore della Palude di Venezia per tentata estorsione a un imprenditore siciliano

Marco Filippi
L'imprenditore trevigiano Claudio Vanin
L'imprenditore trevigiano Claudio Vanin

Otto mesi di reclusione per tentata estorsione al costruttore trevigiano Claudio Vanin, il grande accusatore che con un esposto di 4.000 pagine ha dato il via all’inchiesta “Palude” in cui sono stati coinvolti il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e l’ex assessore Renato Boraso. E’ la sentenza pronunciata dal giudice del tribunale di Treviso Marco Biagetti, nella tarda mattinata di oggi, 4 febbraio 2025, al termine di un rito abbreviato che vedeva Vanin alla sbarra per un sexy ricatto ad un imprenditore siciliano che aveva partecipato alla ristrutturazione di palazzo Donà a Venezia, acquisito dal magnate di Singapore Ching Chiat Kwong.

Il ricatto sarebbe consistito nell’invio, nell’estate del 2018, di un messaggio corredato da foto compromettenti scattate in un night club sloveno, e con commenti inequivocabili del tipo: «Come stai? Ho le foto della gita fatta l’anno scorso in Slovenia da Paolina. Ti ricordi? Dove vuoi che le invio? Le invio a te? A tua moglie? Oppure in ufficio a tua figlia? Fammi sapere. Ti abbraccio». Messaggi e foto di cui però non c’è traccia e che l’imprenditore siciliano sostiene di aver cancellato perché non venissero scoperte dai suoi familiari.

Vanin, che era presente in aula ed ha usufruito dello sconto per il rito di un terzo della pena (il pm Gabriella Cama aveva chiesto una condanna a un anno e 8 mesi) è apparso scosso: “Sono sbalordito dalla sentenza – ha detto il costruttore trevigiano –. Non ho parole perché quel fatto io non l’ho mai commesso e non c’è nessuna prova. Soltanto chiacchiere”. Il suo legale, l’avvocato Neri Cappugi del foro di Firenze non ha dubbi: “Leggeremo le motivazioni e poi ricorreremo in Corte d’Appello a Venezia contro questa condanna”.

L’imprenditore ricattato, costituitosi parte civile con l’avvocato Tino Maccarrone, chiedeva un risarcimento danni di 50mila euro, ma il giudice ha stabilito che sarà un’eventuale causa civile in tribunale a quantificare il danno.

I rapporti tra i due imprenditori risalgono all’estate del 2016 quando entrano in contatto grazie a conoscenze comuni. In quel periodo, per realizzare importanti progetti con il magnate di Singapore Ching Chiat Kwong, coinvolto nell’inchiesta “Palude”, Vanin aveva bisogno di liquidità. Gliela assicurò l’imprenditore siciliano, entrato in società, promettendo una somma di 3 milioni di euro e anticipando subito 600mila euro. In cambio Vanin avrebbe garantito da lì a 4 anni di portare la società ad un fatturato lordo di una ventina di milioni di euro con un utile netto di quattro milioni.

Ma una volta ottenuto quanto voleva, secondo la denuncia dell’imprenditore, Vanin lo avrebbe piano piano estromesso dalle decisioni. Il colpo di scena arriva a primavera 2017 quando Vanin si licenzia dalla società. L’imprenditore siciliano scoprirà pochi mesi più tardi, nell’estate del 2017, che le opere di ristrutturazione e gli appalti legati a palazzo Donà erano stati sottoscritti dalla società Sama Global srl con sede a Bassano del Grappa e riconducibile a Vanin. Si arriva così a marzo del 2018 quando l’ex socio, sentendosi preso in giro, attraverso il suo legale, intima a Vanin di restituirgli i soldi anticipati, oltre ad un  risarcimento danno. A quel punto Vanin reagisce con il sexy-ricatto.

 

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