Alberi a bordo pista, segatura e teloni per mettere la neve in cassaforte

Il piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico indica oltre trecento azioni per preservare l’oro bianco: lo scetticismo del divulgatore scientifico Marco Merola. Giovedì 16 febbraio a Belluno tavola rotonda sul 
futuro del turismo invernale
Francesco Dal Mas
Teloni di nylon stesi a protezione del ghiacciaio Presena
Teloni di nylon stesi a protezione del ghiacciaio Presena

Quanti alberi ci vorranno per ombreggiare 6.700 chilomeri di piste da sci in Italia? O anche soltanto i 1.200 del Dolomiti Superski? Con una pianta ogni due metri, ne servirebbero un milione e 200 mila sulle montagne di casa, 6 milioni e 700 mila lungo le piste d’Italia. Si parla di una delle misure suggerite dal “Pnacc” per conservare la neve a dispetto del cambiamento climatico - almeno alle quote dove la vegetazione d’alto fusto può prosperare.

Il Pnacc è il Piano di “adattamento” al mutare del clima, pubblicato dal Governo tra Natale e Capodanno e all’esame della “Vas”, la Valutazione ambientale strategica, prima del varo definitivo. Contiene anche altri singolari suggerimenti rivolti al mondo degli impiantisti. Ad esempio, conservare la neve delle piste in mega depositi, proteggendola con teli di nylon o con segatura. Per innevare una pista lunga un chilometro, larga circa 50 metri e con uno spessore di 40 centimetri, sono necessari almeno 23 mila metri cubi di neve; se è artificiale sono necessari 9200 metri cubi d’acqua. Con una spesa complessiva di 80 mila euro a km. Quanti metri cubi di segatura, e quindi di alberi, servirebbero per proteggere appena un chilometro di pista? Interrogativi che emergono affrontando il pacchetto di 900 pagine di analisi e proposte.

Chi le ha lette e passate al setaccio scientifico è Marco Merola, un giornalista e divulgatore scientifico che da oltre vent’anni si occupa di scienza, tecnologia e di grandi temi di interesse pubblico. Già collaboratore di numerosi magazine internazionali, tra cui National Geographic, nel 2017 è stato consulente per la Comunicazione del Comitato per la Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio e, precedentemente, Communications manager di molti progetti scientifici internazionali dell’Università La Sapienza di Roma. Insegna al Master di II livello in Climate change adaptation and mitigation solutions del Politecnico di Torino, è TEDx speaker e creatore del webdoc www.adaptation.it sui temi dell’adattamento al cambiamento climatico.

E l’impatto del cambiamento climatico sul turismo invernale sarà argomento dell’incontro “La nuova montagna” che il Corriere delle Alpi e Nord Est Economia organizzano per giovedì 16 a Belluno, alle 17 a Palazzo Bembo (vedi temi e relatori qui).

L’intervista a Marco Merola

La neve è un presupposto essenziale del turismo dolomitico, montano in generale. Ma, come si sa, nevica sempre di meno. Che cosa prevede, dunque il Pnacc?

«Mette in conto ben 331 misure di gestione della coltivazione della neve. Proprio così la definisce. Non spiega come le attività turistiche in montagna si dovranno adattare al cambiamento del clima, ma come piegare questi cambiamenti alla conservazione delle attività, allo sci in particolare».

Quali sono esattamente le misure proposte?

«Testualmente il Pnacc suggerisce “una manutenzione accurata delle piste, un eventuale ombreggiamento delle stesse, la costruzione di barriere anti-deposito, la piantumazione di alberi, per proteggere le piste e l’innevamento (naturale o artificiale) e l’allestimento di depositi di neve»

Depositi come?

«Torniamo alla proposta del Pnacc. “In quest’ultimo caso – vi si legge – la neve viene coperta con teli o segatura, con l’obiettivo di conservarla intatta per la stagione sciistica successiva”, Dopo questa descrizione, gli esperti ammettono loro stessi i limiti della proposta. Rilevano, infatti, che alcuni primi esperimenti indicano che, a seconda dell’altitudine e del metodo di copertura, solo una parte della neve si conserva e può essere utilizzata all’inizio della nuova stagione”. Aggiungono poi, bontà loro, che “l’aspetto positivo di questa misura è il risparmio di energia elettrica (innevamento) e di carburante (veicoli battipista)”.

Ma l’impatto?

“Lo ammettono loro stessi: l’aspetto negativo è l’ulteriore forte impatto sul paesaggio».

Ti credo, l’Olympia o la Volata con i depositi di neve ben in vista, magari ricoperti di segatura o di nylon...

«La scienza ha già detto che i teli sono assolutamente nocivi per l’ambiente perché rilasciano microplastiche. E, infatti, là dove questi teli sono stati sperimentati, si è deciso di contenere l’intervento, per i costi sia economici che ambientali. Sulla Marmolada, ad esempio, o sulla Presena».

Piantumare, allora, i bordi della pista?

«Ma le piante sono assai pericolose. E quante ce ne vorrebbero. Non so se questi esperti pensano ad ombreggiature di tipo arabo, con le piste al fresco, in galleria, mentre all’estero le temperature sono tropicali. Ma quanta energia servirebbe?»

Spandere segatura in grande quantità, d’altra parte, richiederebbe il sacrificio di chissà quanti alberi.

«Questa, proprio, non l’ho mai sentita come sperimentazione. Si palesa in tutta la sua assurdità. Sta di fatto che questi meccanismi sono pensati da chi non si pone il tema di un cambio di strategia turistica rispetto alla radicalizzazione degli eventi climatici, ma immagina mezzucci per salvare il salvabile. Il Veneto, insieme ad altre tre Regioni ha chiesto fondi speciali al Governo per aprire nuovi impianti di ultima generazione. Ma se sarà impossibile conservare depositi di neve da una stagione all’altra, sul piano economico sarà improponibile la stessa neve programmata o artificiale che già quest’inverno è salita di prezzo: fino al 5, 6 euro al metro cubo. Per ammissione degli stessi impiantisti».

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