Digital Content Creators: oltre 25 mila imprese in Italia fatturano 21,5 miliardi
Oltre 25 mila imprese, tra “core” e “ibride”, rappresentano la nuova frontiera dell’imprenditoria digitale, trainata da giovani e tecnologie come l’intelligenza artificiale

Chi si ostina a sostenere che fare l’influencer, o lo youtuber o il tiktoker non sia un lavoro, sbaglia.
A dimostrarlo è una ricerca voluta da Digitalmeet e realizzata da Infocamere con l’Università di Padova secondo cui, nel solo 2024, le oltre 25 mila imprese del settore della digital content creation fatturavano complessivamente oltre 21,5 miliardi di euro. Un valore che è circa la metà di quanto realizzato dall’intero settore della produzione agricola del Paese nello stesso anno. Attraverso un’analisi complessa Infocamere ha distinto, tra le aziende che si occupano della creazione di contenuti digitali, due diverse tipologie: quelle che si occupano sostanzialmente di questa attività (le “core”), quasi 16 mila imprese, e quelle (le “ibride” poco meno di 9.500) che, pure lavorando in altri settori, fanno della content creation un elemento strategico del proprio business.
Ebbene nel 2024 le prime, le “core”, fatturavano 16,8 miliardi di euro, le “ibride” 4,7 miliardi. Ma a colpire è anche la crescita della performance delle une e delle altre: nel 2015 il fatturato aggregato di queste imprese era pari a 11,2 miliardi di euro, in pieno Covid, nel 2021, erano arrivate a 14 miliardi.
Poi, nell’arco di soli 3 anni, l’exploit che le ha portate a rappresentare un settore con un peso significativo nella nostra economia nazionale. Il settore tuttavia non vede brillare il Nord Est, per lo meno dal punto di vista della numerosità delle imprese attive. Il nostro territorio ospita infatti solo il 15,1% delle imprese della digital content creation, la metà esatta del Nordovest 30,2% e meno sia del Centro che del Sud Italia.
«Abbiamo selezionato non soltanto le imprese che fanno della digital content creation il loro business a tutti gli effetti ma pure quelle che usano gli strumenti come leva strategica per raccontare la propria attività» dichiara Paolo Ghezzi direttore di Infocamere.
«Queste ultime, le “ibride”, sono un fenomeno relativamente nuovo e importante perché racconta di un’evoluzione del modo di fare impresa che incorpora le nuove tecnologie nel processo di creazione del valore. Più in generale l’intero settore presenta caratteristiche innovative anche in una chiave generazionale: queste aziende non solo sono in media più recenti di quelle simili ma non orientate alla content creation ma presentano anche un’età degli amministratori significativamente più bassa».
Dati che rispondono da soli alla domanda che Digitalmeet si era posta come titolo dello studio: “L’economia dei Digital Content Creators: i content creators digitali seguono una moda o stanno creando un nuovo modo di fare impresa?”. «In questi giovani troppo spesso vediamo gente che non ha tanta voglia di lavorare» spiega Paolo Gubitta, ordinario del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova e membro del board scientifico del Digitalmeet.
«Ma la realtà che emerge è che queste persone trasformano loro competenze in servizi che soddisfano un bisogno concreto e producono valore. Lo fanno con in mano solo le proprie competenze e poco più: sono imprese spesso di piccole dimensioni, con spese molto ridotte e capitali d’accesso minimi. Sebbene siano realtà diffuse e potenzialmente resilienti, piccolo non è mai bello. Le classi dirigenti del Paese, a tutti i livelli, dovrebbero fornire il supporto necessario a facilitare l’evoluzione di queste imprese verso nuovi e più strutturati orizzonti».
Ma dietro a un settore in crescita c’è un sistema di tecnologie abilitanti che presenta alcune criticità. «L’Ia è certamente stata una leva di crescita per questo settore» ragiona il professor Alessandro Sperduti ordinario del Dipartimento di Matematica dell’Università di Padova «Una parte della velocità e della quantità di produzione di queste realtà è senza dubbio facilitata dall’uso, si spera intelligente ed accorto, di queste tecnologie. E alcuni rischi l’Ia li pone per la natura stessa del mezzo: l’Ia non produce creativamente ma rielabora in chiave statistica contenuti dati in precedenza. E quando la rete sarà saturata di contenuti artificiali il rischio può essere quello di un rallentamento profondo dello sviluppo di prodotti originali. Un rischio non da poco che queste aziende, come il resto dell’umanità, dovranno affrontare».
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