Tragedia di Lavaredo fatali le imprudenze dei rocciatori croati

Indumenti troppo leggeri con il termometro sotto zero ma hanno sbagliato anche i tempi e le difficoltà dell’ascesa
Di Marco Ceci

AURONZO. Un drammatico incidente, ma in concorso con una serie di imprudenze da parte dei due rocciatori.

Non ha esaurito la sua eco la tragica scomparsa dell’alpinista croata Anja Grgic, la 26enne di Zagabria morta per assideramento nella notte tra giovedì e venerdì sulla Cima Grande di Lavaredo. Tra gli addetti ai lavori, i primi ad evidenziare alcune “anomalie” erano stati i soccorritori dell’Aiut Alpin Dolomites, che venerdì mattina avevano provveduto al recupero in elicottero del corpo ormai privo di vita della giovane. Il racconto fornito ai carabinieri di Dobbiaco dal 29enne connazionale che con la 26enne di Zagabria aveva tentato la scalata allo spigolo Dibona, in ogni caso, non ha prodotto elementi sufficienti per giustificare l’apertura di un’inchiesta da parte dell’autorità giudiziaria. Nè sono emersi dettagli particolari dall’esame effettuato sull’attrezzatura dei due. «Credo che solo il compagno di scalata possa sapere cosa sia realmente successo», premette Giuseppe Zandegiacomo, capo stazione del Soccorso alpino di Auronzo. «Mi sembra tuttavia che si possa parlare di una sommatoria di fattori, tra i quali non si può però escludere l’imprudenza».

Se, infatti, i 4 gradi sotto zero registrati in zona nella notte tra giovedì e venerdì «sono stati un episodio, nel senso che già il giorno dopo non si è andati sotto lo zero», spiega Zandegiacomo, «il fatto che i due fossero vestiti con indumenti leggeri deve essere catalogato come un’imprudenza. La stessa che hanno commesso, presumibilmente, nel calcolare i tempi dell’ascesa e le difficoltà della stessa. Lo spigolo Dibona non è una scalata proibitiva, ma è lunga, richiede dalle 6 alle 7 ore e i due ragazzi si sono trovati a un certo punto a dover rinunciare. Forse non conoscevano bene la via, forse il freddo e la neve trovata sulle cenge li ha rallentati, forse la parete era troppo impegnativa delle loro capacità, fatto sta che la decisione di lasciare la ragazza in parete per tentare di scendere e chiedere aiuto è stata sicuramente un’altra imprudenza».

Proprio la scelta del 29enne alpinista di assicurare alla parete la compagna di scalata ha lasciato perplessi molti operatori del soccorso in montagna. «Lasciare il compagno di cordata da solo, in parete, stremato dalla fatica come ho letto», prosegue Zandegiacomo, «è l’ultima cosa da fare. Anche perchè scendendo da solo avrà usato corde e attrezzatura e oltre a non poter più offrire un sostegno fisico e psicologico alla compagna gli ha precluso anche ogni possibilità di movimento. Questo a meno che la ragazza non fosse ferita in modo serio o colpita da un malore».

Ma i dubbi, non solo del capo stazione Sas di Auronzo, riguardano anche attrezzatura e indumenti dei due rocciatori croati. «È vero che se fossero riusciti ad arrivare in cima avrebbe potuto scendere per la “normale”, ma neve e ghiaccio li avrebbero trovati anche di là. Mi chiedo come pensassero di scendere, non avevano attrezzatura e vestiti adatti».

Da una tragedia, tuttavia, «forse se ne possono evitare altre», conclude Zandegiacomo. «Quest’anno la neve sarà una presenza anomala, ma costante, sulle nostre montagne. Chi le affronta deve metterlo in preventivo e deve necessariamente adeguare la sua dotazione: sia di materiali sia di indumenti».

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