Ton: «Palazzo Fulcis esperienza unica per uno studioso»

Il conservatore dei Musei Civici lascerà in autunno Ha riavvicinato la comunità alla sua collezione artistica 

belluno

La sua partenza non è imminente, ma ormai è decisa e si tratta di aspettare i tempi per la selezione del sostituto. Denis Ton, conservatore dei Musei Civici del Comune di Belluno da poco più di sei anni, ha ottenuto un incarico prestigioso a Trento, ma in città lascerà il segno, perché in questi anni ha saputo creare collaborazioni importanti con altre realtà culturali ed eventi che hanno riavvicinato la comunità al proprio patrimonio artistico.

Quale sarà il suo nuovo incarico e quando partirà?

«Non c’è una data precisa, perché non si sa ancora quando potrà essere espletata la procedura per la selezione del nuovo conservatore. Quindi, per evitare un vuoto, rimarrò fino ad allora. Poi andrò al Castello del Buoconsiglio di Trento, un museo molto strutturato in una rete di musei provinciali. Sono molto felice dei sei anni trascorsi a Belluno, dove ho avuto un’occasione unica per uno studioso e un conservatore, cioè l’apertura e l’allestimento di un nuovo museo, il Fulcis. Mi sono affezionato molto alla collezione bellunese e alle persone con cui ho lavorato, ma ho sempre fatto scelte che mi consentissero di crescere e ho sempre desiderato cimentarmi con nuove opportunità. Sono ottimista, il cambiamento farà bene anche al Fulcis, sono convinto che il concorso porterà candidature molto valide e chi verrà saprà inaugurare un nuovo percorso».

In questi mesi state lavorando ad alcuni progetti, quali potranno andare in porto?

«Purtroppo la pandemia ha scombinato i piani. Con l’estate speriamo di far partire la mostra dedicata alla nostra collezione grafica, con stampe e incisioni che di solito restano chiuse nel gabinetto dei disegni. Poi, in occasione di Oltre le Vette, sarebbe in programma una mostra dedicata ad Alessandro Seffer, un paesaggista molto interessante di fine ’800. Speriamo di salvare questo progetto, bisogna capire come si potranno strutturare le esposizioni».

Lei ha già accennato al recupero di Palazzo Fulcis come opportunità unica vissuta a Belluno, ma quali sono stati gli altri motivi di soddisfazione nel suo lavoro in città?

«Direi tre aspetti. Lavorare sulla collezione restaurando e rendendo finalmente accessibili diverse opere, grazie al fatto che il nuovo museo ci ha dato maggiori spazi; lavorare su nuovi pezzi che sono arrivati attraverso comodati e donazioni; e infine creare un coinvolgimento con la città avviando incontri, conferenze ed eventi. Ho avuto la percezione forte di cosa significhi un museo per la sua città. In passato, nella vecchia e piccola sede, il museo era quasi un’istituzione rimossa. L’apertura del Fulcis ha generato risposte creative che abbiamo cercato di intercettare e diffondere. Questo aiuta a rendere un museo una presenza, il Fulcis ormai è sulla mappa e darà altre opportunità in termini di prestiti e collaborazioni. Poi ci sono le cose in sospeso, come il nuovo museo archeologico».

È più difficile far funzionare il museo di una piccola città?

«La collezione bellunese forse non è profonda come altre, ma ha eccellenze solide, piccole perle che in passato erano sacrificate o non esposte ed è come se una persona non riuscisse ad esprimersi. Una collezione va resa parlante e questo è stato possibile grazie al Fulcis. Il problema di una piccola città è che manca il turismo culturale e lavorare sui cittadini è più complicato. Noi ci abbiamo lavorato molto, anche sul turismo di prossimità, e sembra abbia funzionato».

Durante la chiusura avete continuato a tenere compagnia ai bellunesi utilizzando i social, è un modo diverso per avvicinare la gente all’arte?

«Consapevoli che lo strumento è importante abbiamo aperto tre canali su Facebook, Twitter e Instagram, raggiungendo ottomila persone. La situazione ha reso evidente il bisogno di restare in contatto, comunicando contenuti e creando connessioni, ma le emozioni che trasmette un’opera osservata dal vivo sono ben altre». —

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