Tetti distrutti, prati spariti gli effetti di Vaia sulle stalle

I malgari continuano a fare i conti con i danni provocati dall’uragano del 2018 e dal maltempo della primavera: molte strade di accesso sistemate da poco 



Sono da poco passate le 8 e mezza del mattino, l’aria è sottile, c’è del movimento inaspettato. Una quindicina di persone si dà da fare nello spiazzo. Sono stati montati dei tendoni, si sente una musica che deve far parte della colonna sonora di Amarcord. Dall’ultima finestra in alto sbuca un uomo, getta giù matasse di nastro colorato, ora rosso, ora bianco, ora verde. L’atmosfera è felliniana: Romagna anni Cinquanta.

CASERA RAZZO

Invece è il 2019 e fa fresco, in quest’angolo alto di Bellunese, affacciato sul Friuli. A Casera Razzo stanno preparando la settimana di Ferragosto. Il rosso dei gerani spicca sul muro di sassi, allo spaccio c’è già chi ordina formaggio. Sembra tutto pronto, e nulla sembra cambiato, rispetto allo scorso anno.

«Sei andata dietro la Casera? Lì c’è il tetto». Il tetto è un enorme gomitolo di lamiera, regalo di Vaia. «Siamo riusciti a sistemarlo solo a fine giugno. L’acqua – Elisa è la nuora della gestrice – era scesa fin giù allo spaccio, ce n’erano 20 centimetri. Abbiamo dovuto buttare via e ricomprare un camion di roba. E pulire, asciugare, ritinteggiare tutto: la cenere dei camini era colata ovunque, alle pareti dello spaccio avremo dato otto mani di bianco. Con Sonia salivamo tutte le settimane a raccogliere l’acqua».

L’azienda agricola di Sonia Dionisio, che gestisce Casera Razzo, si trova a Lauco, vicino a Tolmezzo. Giù e su per la Val Pesarina, oppure per Sauris. La Val Pesarina è una disperazione di schianti, «era un bosco fitto, ora è una prateria». Casera Razzo è aperta anche d’inverno, i weekend: «Quest’anno – racconta Sonia – abbiamo perso sei mesi. Da Natale a fine giugno. A luglio poi ha grandinato, l’inverno è andato lungo. Speriamo bene, ora. Che non nevichi a fine agosto. In 25 anni che carico bestie in malga, è andato perduto un mese di pascolo, per le condizioni atmosferiche. Vaia non ha aiutato, certo. Contiamo di scendere giù a metà settembre – sperando che non ci facciano storie sui giorni».

I contratti di affitto delle malghe prevedono un certo periodo di monticazione. Quest’estate, l’estate post Vaia, non solo Casera Razzo è in difficoltà: in malga si risente del disastro di ottobre non solo per i danni diretti, quando ce ne sono stati, ma anche per il pascolo. Vaia si è mangiato porzioni intere di alpeggio, qui e lì. E alcuni malgari non sono sicuri di riuscire a tenere le bestie su per l’intero periodo stabilito: l’erba non basta.

MALGA OMBRETTA

«Il prato è indietro di un mese, quest’anno – spiega Anna Maria Darman, che da oltre 15 anni fa stagione a malga Ombretta, tra le marmotte della Marmolada – e non c’è erba. Vaia ha sconvolto il pascolo di ghiaioni. All’ultima curva, prima di sbucare al pianoro della malga, c’erano 5-6 giorni di pascolo: ora non c’è più nulla». La strada di accesso alla malga è stata ripristinata il 19 giugno. Era franata in tre punti, mangiata via da ruscelli imbizzarriti. Anna Maria, il figlio e un altro ragazzo sono saliti su con una ventina di vacche la settimana successiva.

Oggi a malga Ombretta ci si arriva tranquillamente, ma il sentiero che tagliava per il bosco è vietato, chiuso da nastri bianchi e rossi e segnali di pericolo. In queste giornate di agosto i tavolini fuori dalla malga sono comunque pieni fin dalla mattina presto, in molti si fermano apposta per lo yogurt con i frutti di bosco di Anna Maria. Lei se ne sta dietro il banco, a distribuire pezze di formaggio, caffè e strudel. Al muro c’è un ritratto del marito, Livio Ballis, non da molto scomparso: “Lui ce l’aveva proprio nel cuore, questo mestiere. Era un lavoratore instancabile. La malga l’ha gestita la sua famiglia fin dal’51”.

Anna Maria ai tempi lavorava alla Baita del Gigio, a malga Ciapela. Si sono conosciuti lì, con Livio, quando lei aveva 16 anni. «Su all’Ombretta ci sono arrivata tardi, nel 2003. Non c’era nemmeno la lavatrice, lavavo tutto alla fontana. Sono arrivata e ho messo i frighi, la lavatrice… Consumatrice di corrente! Anche adesso corrente non ce n’è mica tanta, si deve far tutto con attenzione».

Il formaggio ora che Livio non c’è più lo fa lei, e continua a farlo «come cento anni fa – come ci teneva a dire Livio. Ma ho ben bisogno che ci sia chi mi aiuti, che mi tiri fuori e che me lo struche, sto formai, se no ci finisco anch’io, nella caldiera».

MALGA LASTE

Poco distante dall’Ombretta, a Laste, vivono Ezio e Diego Dorigo. Anche per loro la salita in malga è stata complicata dal disastro di fine ottobre. A malga Laste – come in paese, del resto – c’è stato il problema dell’acquedotto. E senza acqua, niente formaggio.

In questi giorni di agosto la malga brulica di gente: il formaggio di Laste è ben conosciuto, il burro è prenotato già dall’inizio della primavera. Alla fine il problema dell’acquedotto è stato risolto. «Dalla Val Belluna abbiamo clienti che vengono su a comprare anche dieci forme al colpo, mica una fettina, eh! ».

Diego ed Ezio sono gemelli. Lavorano e gestiscono malga Laste da quando avevano 14 anni. Ezio è il casaro, Diego si occupa delle bestie e del fieno. D’inverno fanno entrambi di tutto, e il latte lo conferiscono alla latteria di Livinallongo. «Siamo andati su finite le scuole medie. Il malgaro di allora – ricorda Ezio – se n’era andato a metà stagione, diceva che non c’era più acqua. Se n’è andato lasciando le mucche da sole. Erano le mucche del paese, e qui ci han detto, andate su voi. Noi siamo andati, tutto agosto da soli, così è cominciata».

Da allora – era l’inizio degli anni ’90 – malga Laste è affidata a loro: negli anni, è salita su anche la famiglia di Diego, la moglie e tre figli. Ezio ha un bambino di quasi due anni e una compagna che lavora ad Arabba: «d’estate tocca vivere separati… Il brutto di questo lavoro è che sei sempre là, non è che puoi mollare le bestie». Ma il bello, interviene Diego, «è che lavori per te, e non dipendi da altri».

A un certo punto non sapevano se continuare. Dovevano costruire la stalla nuova, in paese. Non erano sicuri di farcela. Da Laste sono andati via in tantissimi, «ma era la generazione prima di noi – precisa Diego – e noi eravamo già in pochi: della nostra classe, bambini eravamo solo in quattro… Alla fine, è proprio da dirlo, è stata la malga a tenerci qui». —





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