Tante telefonate, Fabio ritrova gli amici

La giornata con mamma Jamila e il viaggio al carcere di Hahnofersand per ritirare i quattro sacchi con le proprie cose
AMBURGO. Il primo pranzo è in un ristorantino del quartiere Sternschanze, su una via parallela a quella devastata durante il G20 del 7 e 8 luglio. Destino curioso. Il primo giorno di Fabio Vettorel libero ad Amburgo inizia con una cotoletta alla milanese e delle patatine fritte. La fuga dai giornalisti al termine dell’udienza di lunedì è repentina, proprio per evitare ogni tipo di domanda. Alle 18 c’è l’appuntamento con gli avvocati Heinecke e Timmermann, che dovranno dare al manifestante feltrino tutte le direttive su come comportarsi ora che è «fuori dalla prigione», il suo nuovo mantra, che non si stufa mai di ripetere a voce alta.


Cinque ore per respirare, prima di rimettere la testa nella spirale giudiziaria. Ma Fabio sorride, in continuazione. Stavolta è un’espressione più calda, visibilmente serena. Riprende possesso della tecnologia lentamente: ora ha un vecchio Samsung con l’apertura a sportello e i tasti grandi così. Il numero di telefono è nuovo. La notizia della sua liberazione si è sparsa un po’ ovunque e tutti contattano mamma Jamila per parlare con lui. Fabio rifà il numero e li chiama tutti, uno per uno.


La prima domanda che fa è sempre «Come stai? », mentre verrebbe spontaneo chiederlo prima a lui che si è appena fatto 142 giorni di carcere preventivo. Per rivederlo ci vuole un biglietto aereo, visto che Fabio dovrà rimanere in Germania fino al pronunciamento della sentenza, questa una delle condizioni poste dalla giudice per concedere il suo rilascio. E l’ultima delle udienze fissate lunedì sarà il 20 febbraio. «Lo avevamo preparato a stare dentro fino ad allora», ammette la madre Jamila Baroni, radiosa e visibilmente sollevata ora che ce l’ha accanto, «a un certo punto era pure saltato fuori qualche sensitivo convinto di poter prevedere la data della sua scarcerazione».


Dopo due ore di riunione fiume con gli avvocati difensori, andiamo a cena in un ristorante greco con gli amici Daniele e Lorenzo di Roma, cui si aggiungono Nadia Toffa, inviata e conduttrice de Le Iene, e Alessandro Casati, uno dei videomaker del programma, che hanno iniziato a seguire accuratamente il caso qualche settimana fa. I brindisi a tavola si sprecano. Dopo una notte di sonno finalmente sereno e riposante, alle 11.30 partiamo per Hahnofersand, il carcere giovanile dove Fabio è stato recluso per quattro mesi e mezzo. Ci vuole almeno mezz’ora di macchina per raggiungerlo, per questo prima di ogni udienza il giovane veniva trasferito in una casa circondariale del centro. Fortuna che la coinquilina di Jamila ha un’auto da prestarle.


Lungo il tragitto attraversiamo la Rondenbarg, teatro dello scontro tra il gruppo speciale operativo Blumberg e il corteo ibrido dove si trovava Fabio. Passando nel tunnel sotto l’Elba Fabio confida: «Passare qui con l’autobus mi metteva sempre ansia». Attraversiamo una serie di meleti costellati di pale eoliche, piccole aziende agricole e case fatte di mattoncini rossi e con i tetti a punta, alcuni anche coperti d’erba come vuole la tradizione amburghese. Partiamo che piove, ma arriviamo mentre si sta aprendo uno squarcio nel cielo che lascia uscire un freddo sole invernale. Ma dobbiamo aspettare che gli agenti tornino dalla pausa pranzo prima di poter ritirare i pacchi. Andiamo quindi a bere un caffè al supermercato Rewe della vicina Jork.


Fabio riconosce una melodia: «Questa è radio Hamburg. La mettevano su in carcere e manda sempre le stesse quattro canzoni». Fa freddo e tira molto vento ma Fabio vuole comunque aspettare fuori dalla Fiesta grigia, perché «non riesco a restare chiuso in macchina». Di tanti aneddoti imparerà a sorridere, con il tempo, ma non dev’essere stato facile attraversarli. Torniamo ad Hahnofersand e aspettiamo, finché alle 13.20 non fa capolino dalla curva dell’isolotto un pulmino grigio. Dentro ci sono quattro pacchi: è tutta la roba di Fabio. Ci sono i suoi vestiti, compresi quelli del corteo G20, la sciarpa, la giacca e perfino i lacci, mentre «le scarpe non ci sono più».


E poi le lettere, decine, i libri, non tutti, visto che ne ha voluti lasciare alcuni all’istituto penitenziario, «non si sa mai che arrivi un altro italiano che abbia bisogno di leggere». E poi alcune carte del processo, le merendine, i bussolotti di tabacco per farsi le sigarette. È un sacco di roba, «tanti pacchi da aprire per Natale», ironizza la mamma. Carichiamo tutto in macchina e ripartiamo per Amburgo. Fatta anche questa. Ora non resta che aspettare i primi amici già in viaggio per la città anseatica e pensare a cosa fare sabato. Sarà un compleanno memorabile, sotto tutti i punti di vista.


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