Su in verticale con Profit lo «stambecco»
La macchina da presa di Nicolas Philibert racconta la fulminante impresa sulla Ovest del Petit Dru

Profit sulla cima dell'Eiger
Chissà quanto vale un sesto grado senza protezioni. Magari un decimo grado, chissà. La differenza, sostanziale, sta tutta qui: nel fatto che salire con sicure e chiodi ai quali agganciarsi è un conto, salire per la stessa via senza tutto questo è un altro conto. Questione di psicologia, si dirà. Ma dici poco. Nel primo caso sai che se voli resti appeso. Nel secondo voli e basta. Il resto lo si può immaginare.
Nicolas Philibert segue con la macchina da presa un asso dell’alpinismo, Christophe Profit, nella sua supersonica arrampicata in libera e senza protezioni sulla liscia muraglia della parete ovest del Petit Dru, nel gruppo del monte Bianco. L’anno dell’impresa è il 1982 e Christophe va su in solitaria, che sembra uno stambecco. Se c’è una caratteristica assolutamente irripetibile nello stile di Christophe, questa è la velocità. Rapidità non solo di gambe e mani ma di cervello, perchè certi saltelli in verticale, certi slanci multipli, certe progressioni dove gli appigli sembrano un optional si possono fare solo con l’occhio attrezzato a cogliere ogni opportunità, ogni pendolo, ogni contrappeso. La diretta americana del Petit Dru non è cosa da poco. Soprattutto quando si arriva al diedro di novanta metri, che Christophe supera di slancio, sempre il libera, sempre senza corde né chiodi a trattenere la forza di gravità.
Non crediate di cavarvela solo perché guardate il film comodi in poltrona. Il regista vi spara direttamente in parete, siete lì, insieme a Christophe. Solo che lui fa l’indifferente, voi sudate e avete i brividi. Magari vi sudano le mani, e non avete il gesso per aderirle bene alla parete.
Profit è adesso una guida, porta su i clienti, naturalmente quelli di cui conosce bene vocazione e allenamento. I suoi «padri» nobili si chiamano Lionel Terray, Jean Couzy, Georges Livanos, Gaston Rabuffat, René Desmaison. La grande scuola francese che ha lasciato i suoi nomi anche sulle Dolomiti, naturalmente.
Nicolas Philibert ha lavorato a sua volta con registi come René Allio, Alain Tanner, Claude Goretta e ha confezionato splendidi film documentari, come «Il paese dei sordi» ed «Essere e avere».
Per questo film da vertigini (1985, riedito da Vivalda nel 1995) ha impiegato elicottero e piattaforme in parete. Per la ricostruzione dell’impresa di Christophe Profit ha impiegato certamente più ore di quante ne aveva impiegate l’alpinista (appena tre ore e mezza).
Ne è venuto fuori un capolavoro del cinema di montagna di 28 minuti da brivido, che ha ottenuto parecchi premi: al Festival di La Pagne (Francia) nel 1985, al Festival di Graz nel 1986, a quello di Les Diablerets (Svizzera) nel 1986, al Festival di Banff (Canada) nel 1987.
Il film si apre con Christophe che parte da casa a piedi, zainetto in spalla, tutto solo. Sotto la parete corre saltando tra i massi. E pare che corra anche affrontando la scalata. Si fa più cauto solo dove il rischio è più presente, lo si respira anzi lo si addenta. Mai un’incertezza, mai un’attesa troppo lunga. Qualche sosta, ma solo per ascoltare alla cuffia la segreteria telefonica di casa. In alto c’è anche la neve, e lui procede a mani nude. In vetta, una madonnina di Lourdes, si vede che anche questa volta l’ha protetto. E subito nuvolacce, tuoni, il temporale che arriva, neve. Scende a balzi di corsa, prima che arrivi. Giù per un canalone pieno di neve. Cala la notte, e Christophe è giù in città, a piedi naturalmente. Suona il campanello, ma lassù non sentono, c’è musica e allegria. Sarà una festa? Christophe, se ha scalato il Petit Dru, può scalare anche il grattacielo ed entrare dalla finestra.
E’ l’interprete della velocità, di un modo di scalare in solitaria che è più un gioco impegnativo che un impegno gioioso. Lo definiscono l’inventore di una nuova stagione dell’alpinismo, negli anni Ottanta, quando «tutti i sacri canoni dell’alpinismo, tutti i “problemi” delle Alpi, vennero misurati (e bruciati?) con salite fino ad allora assolutamente impensabili, per concezione e velocità». Il suo terreno preferito è la nord dell’Eiger sulla quale ha firmato la prima invernale, in solitaria e in giornata. Ha concatenato Eiger, Cervino e Grandes Jorasses in 24 ore. Lo Sperone Croz (Grande Jorasses), la Nord dell’Eiger (via Heckmair) e Cervino (via Schmidt) in solitaria invernale in 42 ore. Può bastare? Naturalmente, qualcosina ha fatto anche sul K2: 1991, nuova via con Pierre Béghin sulla cresta nord ovest.
Racconta in un’intervista: «Ho sempre desiderato diventare guida, fin dalla mia infanzia. E’ un modo di ravvivare e prolungare la mia passione, di fare uso della mia esperienza, di trasmettere e condividere tutto ciò che la montagna può regalarci».
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