Stupra la moglie nella doccia: 5 anni e 4 mesi

Condannato un 62enne cadorino finito in tribunale per i reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale

SAN VITO

Stupro sotto la doccia. Un padre di famiglia è stato condannato a cinque anni e quattro mesi dai giudici Coniglio, Feletto e Cittolin. La sentenza del tribunale per i reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale sulla moglie ha superato la richiesta del pubblico ministero Marcon, che si era fermato a quattro anni e otto mesi, con la concessione delle attenuanti generiche, perché il 62enne P.P. era incensurato.

Il difensore padovano Gasparin confidava nell’assoluzione, se non altro perché a suo dire la prova non era stata raggiunta. La vittima non era attendibile, nel senso che non mancavano le incongruenze anche nelle sue denunce ai carabinieri e potevano esserci dei problemi di memoria collegati all’assunzione di farmaci. L’avvocato di parte civile Fioraso ha ottenuto un risarcimento di 10 mila euro.

Il momento peggiore della convivenza della coppia di San Vito di Cadore, nel giugno di tre anni fa: la donna si sta occupando della pulizia personale e non può che essere nuda, quando il marito fa irruzione nella cabina, le passa una spugna insaponata sugli occhi e tenta di possederla. Lei cerca di resistere a questo assalto non gradito e si volta, con il risultato di subire un’altra violenza.

C’è stata una separazione e, in questo momento, sono in corso le pratiche per il divorzio. Nell’ultima udienza di ieri, è stata sentita la figlia della donna, che fino a una certa età ha vissuto sotto lo stesso tetto, prima di andarsene, perché non andava d’accordo con il futuro imputato. Non era in casa il giorno della violenza e non ci potevano essere testimoni, ma ha raccolto le confidenze della vittima, leggendole anche su un diario personale. In seguito, sa per certo che non si fidava più di entrare in doccia, in presenza del marito.

Quando era in casa, ha detto la figlia, la donna era spesso vittima di insulti volgari o a sfondo sessuale e inviti a impiccarsi o a buttarsi dal ponte. Li sentiva in sottofondo, quando telefonava alla mamma. In una occasione, anche il tentativo di farla finita con l’ingestione di una quantità eccessiva di farmaci. È stato necessario portarla in ospedale, per salvarla. Ma la donna, ha raccontato la figlia, non è sempre stata in queste condizioni. Ci sono stati dei periodi di serenità, ma quando l’uomo ha cominciato ad abusare di alcol la relazione coniugale si è inesorabilmente guastata.

Unico testimone della difesa il maresciallo dei carabinieri di San Vito, che ha sottolineato alcune incongruenze nelle numerose denunce presentate dalla donna. Quanto ai tentativi di suicidio, non sarebbero stati a base di medicine e questo l’avrebbe confermato il medico di base.

Gasparin aveva chiesto un breve rinvio, per rileggersi le ultime deposizioni, ma il tribunale ha invitato le parti a concludere. Richieste di condanna e risarcimento danni dal pm e dalla parte civile e di assoluzione dalla difesa. In seguito, una breve replica da parte di Marcon, a rafforzare la tesi dell’accusa e la sentenza di condanna a cinque anni e quattro mesi e 10 mila euro. —

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