Scatta l’allarme cave, il Cadore è l’area a rischio

BELLUNO. Il Piano regionale delle cave (Prac) prevede lo scavo in provincia di Belluno di 1,6 milioni di metri cubi di calcari e detrito. Nuove cave, dunque, chi non le vuole dovrebbe presentare...

BELLUNO. Il Piano regionale delle cave (Prac) prevede lo scavo in provincia di Belluno di 1,6 milioni di metri cubi di calcari e detrito. Nuove cave, dunque, chi non le vuole dovrebbe presentare le necessarie osservazioni entro il 21 gennaio, anche se la data è ballerina per consentire ai ritardatari di completare il loro lavoro.

In provincia di Treviso, specie lungo la Pedemontana, i sindaci si sono ribellati, perché anche la Vallata ed il Vittoriese sarebbero candidati all’attività estrattiva. Ieri, però, l’assessore regionale all’ambiente, Maurizio Conte li ha tranquillizzati, precisando che soltanto il Bellunese è considerato come l’area vocata.

«Per quanto riguarda la zona del Vittoriese, il riferimento a estrazioni per 1,6 milioni di metri cubi (calcari + detrito) è corretto, ma riguarda tutto l'ambito che vede coinvolta soprattutto la provincia di Belluno, dove presumibilmente si concentreranno le autorizzazioni», ha dichiarato Conte.

È il Cadore il più interessato di altre zone a questo tipo di impianti. Ma al riguardo il rappresentante della Regione tranquillizza: prescrizioni e vincoli contenuti nel Piani d'area e nei Pat comunali sono comunque da rispettare. «Il Prac», ricorda Conte, «non li va a modificare e, per inciso, il Piano d'area delle prealpi vittoriesi vieta nuove cave. Posso comunque dare assicurazione», conclude Conte, «che per le autorizzazioni da concedere si deciderà caso per caso e quindi tenendo conto delle precauzioni ambientali e territoriali evidenziate dai sindaci».

Nei territori c’è già mobilitazione. Ad esempio in area Schievenin. Interpellato da rappresentanti locali, Sergio Reolon, consigliere regionale del Pd, ha assicurato la massima vigilanza. «Non consentiremo che siano attivate nuove cave. Nemmeno una. La provincia dolomitica non può permetterlo. Eventuali deroghe possono riguardare i conoidi di frana e la pulizia dei laghi, indispensabile per ampliare la capacità di contenimento dei bacini. Ma attività estrattive nuove proprio no». Il timore è che si materializzino impianti di raccolta e lavorazione nelle valli, là dove arrivano gli scarichi dei torrenti. «Tra l’altro non comprendiamo l’esigenza di quantitativi così importanti di detriti e calcari quando il settore delle costruzioni», conclude Reolon, «è sostanzialmente fermo». (fdm)

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