San Tiziano patrono comunale nel segno degli antichi legami

Con il nuovo Comune di Borgo Valbelluna è stato necessario includere nello statuto comunale anche il nome del santo patrono – san Tiziano – e la data di celebrazione della ricorrenza, fissata per il 16 gennaio. Decisione questa non presa dal tavolo tecnico che per molti mesi ha lavorato al progetto fusione, ma bensì proposta dai parroci del territorio, ossia don Egidio Dal Magro, sacerdote di Trichiana e Sant’Antonio Tortal; don Massimiliano Zago, parroco di Mel e Carve; don Giuseppe De Nardo, parroco di Villa di Villa ed infine dal rappresentante della forania, don Luca Martorel di Lentiai.
Proprio quest’ultimo spiega le motivazioni che hanno portato alla scelta di san Tiziano. «Desidero innanzitutto plaudire ai sindaci e al tavolo tecnico per il lavoro che ha interessato la popolazione del nostro amato territorio ed ha raggiunto il risultato che ha permesso la nascita del nuovo Comune di Borgo Valbelluna. È significativo e altamente simbolico, che il territorio del nuovo comune coincida con la forania zumellese, espressione ecclesiale in terra bellunese della diocesi di Vittorio Veneto», commenta don Martorel.
«Poiché la sinergia tra amministrazioni e parrocchie è un beneficio per i cittadini e per il territorio stesso», sottolinea il sacerdore, «i parroci non intendono interrompere tale sinergia: la realtà ecclesiale locale desidera contribuire, per quel che le compete, alla buona nascita del nuovo comune. Noi parroci abbiamo proposto come patrono la figura di san Tiziano, vescovo e confessore. Questa scelta è stata fatta considerando che il santo proposto è già il patrono della diocesi di Vittorio Veneto e che fino a pochi decenni fa, gli abitanti di Cison, Follina, Revine Lago, chiamavano noi, al di qua delle montagne, “i ciani”, diminutivo di “tiziani”, cioè quelli sotto la diocesi di san Tiziano (Vittorio Veneto) per distinguerci dalle diocesi vicine di Belluno, Feltre e Padova».
Tiziano nacque attorno al 555 ad Eraclea da una facoltosa e distinta famiglia. Eraclea apparteneva al territorio opitergino (tra Piave e Livenza) attorno all’antichissima città di Opitergium (l’attuale Oderzo), già “Municipium” romano e sede vescovile dalla fine del IV secolo dopo Cristo.
Fu istruito dal vescovo di Oderzo, san Floriano, e sentì maturare la vocazione al sacerdozio; Floriano lo ordinò sacerdote. Quando il vescovo Floriano rinunciò all'episcopato per farsi missionario tra i pagani, clero e popolo trovarono in Tiziano il presbitero più degno a succedergli come pastore e guida. Secondo tradizione egli fu vescovo di Oderzo tra il 610 e il 632.
La vita cristiana della popolazione, nei secoli VII e VIII, era insidiata da due movimenti eretici: la dottrina di Ario che negava la divinità di Cristo; e lo scisma con Roma, detto dei Tre Capitoli, da parte di alcuni vescovi, per divergenze teologiche, disciplinari e anche politiche.
San Tiziano li contestò strenuamente, tanto che la diocesi di Oderzo rimase sempre fedele al papa.
Morì il 16 gennaio 632; fu sepolto a Oderzo e il popolo accorse subito a venerarlo come santo, riconoscendone i grandi meriti e testimoniando i molti miracoli ottenuti per sua intercessione.
Concittadini venuti da Eraclea col pretesto di visitarne il sepolcro trafugarono il suo corpo, lo misero in una barca sul fiume Monticano e cercarono di fuggire per raggiungere il fiume Livenza.
Gli opitergini li inseguirono e li raggiunsero nelle vicinanze del castello di Motta, dove il Monticano confluisce nel Livenza.
A questo punto entra in campo la leggenda. Sulle sponde del Livenza, opitergini ed eracleani si trovarono gli uni contro gli altri. Comparve un vecchio misterioso che li esortò a non ricorrere alla violenza, ma a lasciare il corpo del santo nella barca, e a pregare Dio affinché indicasse dove voleva che fosse portato. La barca, con meraviglia di tutti, cominciò a risalire il Livenza fino a un punto dove il fiume era poco navigabile. Allora il corpo fu caricato su un carro trainato da buoi lasciati liberi. Fra lo stupore e le preghiere, il santo si diressero verso le colline di Ceneda, l’attuale Vittorio Veneto. —
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