Salafossa, i ricordi di un dirigente

In attesa della bonifica dalla nitroglicerina, Zandonella Pitton racconta la storia dell’ex miniera
Di Stefano Vietina

SAN PIETRO. Inizieranno lunedì mattina le operazioni per neutralizzare i circa due chili di nitroglicerina ritrovati nella miniera “Pertusola” di Salafossa, tra i Comuni di Santo Stefano e San Pietro. Mentre si stanno approntando tutte le precauzioni del caso, il sindaco di Santo Stefano, Alessandra Buzzo, e quello di San Pietro, Elisabetta Casanova Borca, mantengono il più stretto riserbo su tutta la vicenda, come è stato loro caldamente consigliato.

Non si sa dunque quale sia la provenienza di questo esplosivo, né quali siano stati i contorni del ritrovamento, visto che l'accesso alla miniera era interdetto dal tempo della sua chiusura, nel 1986.

La miniera di Salafossa rappresentava qualche anno fa in Comelico un'importante fetta dell'economia, che oggi non c'è più. Venti anni di intensa attività, fra il 1966 e il 1986; oltre 250 addetti fra minatori (la maggior parte ovviamente) ed esterni addetti agli impianti, ai trasporti, agli uffici; una ricchezza diffusa che garantiva stipendi ben più alti di quelli dell'industria. Poi, nel 1986, la definitiva chiusura.

«È finita come finiscono tutte le belle storie», ricorda Danilo Zandonella Piton che di quella miniera è stato a lungo dirigente responsabile delle manutenzioni, dell'officina meccanica ed elettrica e della produzione esterna, «e guardi che la nostra miniera non era particolarmente ricca di metallo; ma quello che l'ha resa davvero redditizia per i proprietari è stato il lavoro duro, serio, professionale di chi ogni giorno prestava la sua opera con grande tenacia».

Il giacimento vero e proprio era rappresentato da una sorta di fuso incastrato orizzontalmente nella montagna sulla strada che da San Pietro va verso Sappada, lungo 650 metri, con un'altezza variabile fra 40 e 60 metri ed una profondità da 80 a 200 metri. Dal materiale grezzo che veniva estratto si ricavavano appena il 4,7% di zinco e lo 0,91% di piombo. «Eppure, pur con queste basse percentuali, la miniera era assai produttiva perché si ricavavano mediamente all'anno 500/600.000 tonnellate di grezzo (di cui 50.000 tonnellate di zinco pari a circa il 25% della produzione nazionale e 7/8000 di piombo, ndr). Tanto per avere un'idea», continua Zandonella Piton, «in una miniera della stessa società, a Ingurtosu in Sardegna, si produceva la metà del grezzo (250.000 tonnellate, ndr) con tre volte il personale (850 addetti, ndr)». Così, nel 1981, nel corso dei festeggiamenti per i 100 anni della sua costituzione, la società proprietaria Pennaroya, francese, poteva scrivere testualmente: “Questa miniera relativamente povera, ma ben meccanizzata, sorretta da un ottimo personale locale, ha dato buoni risultati». Con queste cifre, Salafossa rappresentava la più importante attività economica della zona. All'interno si contavano 32 km di gallerie, 5 km di fornelli (gallerie verticali per il passaggio da un piano all'altro) e 3 km di fornelloni, che servivano per scaricare il materiale abbattuto.

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