«Rimettete le lapidi nel cimitero di Fortogna»

Dai Cittadini per la memoria parte una raccolta di firme da consegnare al sindaco Padrin

DIGA DEL VAJONT. Testimonianze forti alla decima veglia e notte bianca sulla frana alla diga del Vajont, organizzata dal movimento dei “Cittadini per la memoria”, che lancia anche una nuova raccolta firme. Decine di persone si sono ritrovate sabato sera attorno ad un fuoco per riflettere sui temi dei diritti civili, in cui la tragedia di 51 anni fa ha fatto da collante per parlare di diverse ingiustizie della storia d'Italia.

«Come ogni anno siamo qui – dice la referente dei “Cittadini per la memoria” Carolina Teza - tanti cittadini sono uniti per far sentire la nostra voce, contro il silenzio e l'omertà. Molti vengono da tutta Italia, come Brescia e Bergamo, e non mancherebbero per nulla al mondo. Facciamo tutto questo grazie al volontariato, ognuno porta il suo contributo, magari con qualcosa da bere o mangiare. Citiamo però il comune, la Protezione Civile e la Pro Loco di Erto Casso per il supporto logistico, in particolare alla cerimonia dei palloncini e per il palo tibetano (“tarboche”) che ricorda le 1910 vittime. Come superstiti stiamo ancora aspettando le scuse ufficiali del Capo dello Stato, a cui ho inviato molteplici lettere. Per me le cerimonie del 50esimo sono state molto spesso un “pro forma” per le autorità, che occupavano tutti i posti davanti: c'è stata mancanza di umiltà e ci doveva essere un incontro apposito con i superstiti: ci hanno detto che non c'era tempo. Purtroppo gli italiani sono poco attenti su questi temi, almeno finché non sono toccati da tragedie in prima persona, anche grazie alla complicità dei mass media».

«Qui c'è il ricordo - continua la giornalista Lucia Vastano – le scuse di Stato dello scorso anno hanno fatto piacere ma la memoria non è solo un fatto di ricorrenze. Noi le avevamo chieste già 10 anni fa con una raccolta di 30mila firme portata a Roma. Le scuse devono essere sentite, non fatte per opportunismo politico. Da oggi partirà la nuova raccolta firme per chiedere al sindaco di Longarone Roberto Padrin il riposizionamento delle lapidi dei privati che si trovano nel magazzino del cimitero monumentale di Fortogna».

Spazio poi alle storie dei superstiti del Vajont con Italo Filippin, al progetto didattico sul viaggio nei luoghi del Vajont a cura dell'associazione “Partecipazione” di Reggio Emilia, Marco Turchetti con i racconti del terremoto emiliano e i recital di Francesco Gerardi sulla tragedia del traghetto Moby Prince, e quello di Raoul Melotto e Cesare Sampaolesi con “Storie di santa povertà”. Il racconto più toccante è però quello di Adele Chiello, madre di Giuseppe Tusa, giovane morto nella strage della Torre Piloti del porto di Genova il 7 maggio 2013. In quel giorno una nave ha colpito con una manovra errata la torre, causando la morte di nove lavoratori.

«Me lo hanno ammazzato in meno di 45 secondi – accusa la donna - le indagini si sono concentrate solo sull'errore della manovra e non sulle responsabilità della capitaneria o dei costruttori della torre, che presentava alcune irregolarità nella costruzione. Hanno detto che queste cose sono irrilevanti e ininfluenti ai fini processuali, ma nessuno negli anni si è mai preoccupato della sicurezza. Mio figlio era incastrato in ascensore e lo hanno recuperato dopo 16 ore, nessuno hai mai giustificato questo grave ritardo nei soccorsi, anzi hanno detto che sono stati presi alla sprovvista! Io chiedo giustizia vera e rispetto dallo Stato, quello stesso Stato che mi ha posizionato in nona fila ai funerali di mio figlio, perché il resto dei primi posti era occupato dalle autorità. Alla fine il Vajont, la vicenda di mio figlio e tante altre pagine nere, si riconducono ad un unico fine: il profitto che viene anteposto alla vita umana».

Enrico De Col

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