Prezzo libero del caffè, mugugni tra i baristi

Ma l'Ascom è categorica: «E' finito il tempo dei listini imposti»
 
FELTRE.
Una volta c'era il listino prezzi e la tazzina di caffè costava uguale in qualunque bar, dalla bettola al locale di classe. Una consuetudine stravolta dal decreto Bersani sulle liberalizzazioni e dalle norme diramate dalla commissione antitrust che ha messo in concorrenza i diversi locali pubblici, che da anni ormai viaggiano in ordine sparso nel proporre un costo differente non solo per il classico espresso, ma anche per apertitivi, birra e quant'altro. Sceglie il consumatore dunque, anche se c'è qualcuno che rimpiange il vecchio sistema, quella sorta di gentlemen's agreement che metteva i locali sullo stesso piano.  La polemica per adesso viaggia sotto traccia perché i gestori di un bar del centro stanno cercando di capire come funzionano le cose prima di uscire allo scoperto in via ufficiale. Di sicuro il barista «arrabbiato» si domanda perché lui fa pagare il caffè un euro e non si può permettere di abbassarne il costo - «è già difficile fare quadrare i conti così» - mentre molti suoi colleghi continuano a farlo pagare novanta centesimi.  A stoppare ogni polemica è il direttore dell'Ascom di Belluno, Luca Dal Poz: «Per l'associazione che rappresento c'è un assoluto divieto di stabilire i prezzi. E' il singolo esercente che decide. E' finito da anni il tempo dei listini precompilati. Una volta c'erano i prezzi imposti, poi è arrivata la legislazione antitrust che ha cambiato tutto. Tra l'altro, il costo del caffè al bar è il classico esempio di come un prodotto possa essere diverso per qualità della materia prima, preparazione e presentazione al cliente. E' il mercato che detta i prezzi. L'importante è che il barista, una volta scelto il prezzo, dia un servizio all'altezza di quanto richiesto».  Schietta e diretta, come sempre, Barbara Raveane, titolare del bar Impero di via XXXI Ottobre: «Deve essere il barista a tarare il listino in base alla clientela che frequenta il suo locale. A me il caffè sta bene venderlo a novanta centesimi, magari vendo dieci centesimi più caro un altro prodotto. Il mio locale non è affollato di gente che vuole il caffè, si riempie per altri motivi, come l'aperitivo o le feste a tema. Come sempre, a sancire il successo o meno di un locale, è la qualità della gestione». (r.c.)

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