Preccupa la grande quantità di ghiaia accumulata nei torrenti Maè e Prampera

Come sinergie scientifiche, tecniche e amministrative hanno contribuito ad elaborare un progetto per garantire la sicurezza nel comune di Zoldo dopo l’alluvione del 1966, un simile approccio sarebbe auspicabile per sistemare i danni provocati da Vaia, soprattutto agli alvei dei fiumi.
Il Comune di Val di Zoldo, con il sindaco Camillo De Pellegrin ha già scritto a Regione, Provincia e Genio civile per sollecitare l’attenzione di questi enti sulla situazione creatasi sui torrenti Maè e Prampera «pieni di ghiaia, tanto da preoccupare non poco in caso di un eventuale fenomeno simile a quello che ci ha colpiti nell’ottobre 2018», precisa De Pellegrin che ci tiene a sottolineare come «ad oggi molti sono stati gli interventi eseguiti nel nostro territorio da parte di Regione e Provincia, che ringrazio vivamente, per sistemare i danni di Vaia. Ma come ho avuto modo di dire, anche durante i sopralluoghi, ci preoccupa molto l’accumulo di ghiaia nel letto di questi fiumi che, in tempi non troppo lontani, come nell’alluvione del 1966, hanno devastato la valle zoldana».
Memore di quanto accaduto 53 anni fa, il primo cittadino ha provveduto a consultare i protagonisti di quei tempi, tra cui il professor Lucio Ubertini, e Renzo Scussel ex sindaco di Forno di Zoldo in anni più recenti, per chiedere consiglio su cosa sarebbe meglio fare e come muoversi. «Ho voluto consultare queste persone che conosco personalmente e che hanno seguito passo dopo passo la ricostruzione e la messa in sicurezza del paese dopo l’alluvione, per capire come si è agito allora e se, eventualmente, quel sistema messo in atto in quegli anni, che ha dimostrato la sua validità sotto la furia di Vaia limitando i danni, può essere utilizzato anche ora o se ci sono delle soluzioni diverse da mettere in atto».
All’epoca a chiedere aiuto al professor Ubertini a Perugia erano andati i sindaci di Forno di Zoldo, Zoldo Alto e Zoppè di Cadore insieme alla Comunità montana dell’area. Un lavoro di squadra per una visione d’insieme del problema.
Secondo delle stime approssimative, sarebbero 150 mila i metri cubi di ghiaia accumulatisi lungo i corsi d’acqua dopo Vaia e che vanno rimossi. «Il problema è l’accumulo nel torrente Maè», dice Scussel, che ha visto la conclusione dell’opera post 1966, «se si attraversa il ponte che porta all’Insonnia, è possibile vedere quanto materiale si sia depositato. Per fortuna il bacino realizzato a monte dopo l’alluvione è servito durante Vaia, ma ora è pieno e va svuotato, per garantire il normale flusso dell’acqua e per scongiurare disastri in presenza di piene».
Quello che l’amministrazione comunale chiede è che tutti i soggetti interessati si mettano insieme e studino la situazione per giungere ad un progetto unitario e globale per risolvere il problema. «Serve una visione di insieme. Bene gli interventi di somma urgenza, necessari per la sicurezza immediata della popolazione, ma per garantire un lavoro che possa resistere agli eventi straordinari, come ha dimostrato di resistere l’opera eseguita dopo l’alluvione, serve una visione di insieme di tutto il territorio», commenta anche il professor Ubertini. «Siamo di fronte ad un problema delicatissimo ma gigantesco e serve un approccio multidisciplinare e complessivo per fare un lavoro duraturo. Perché», si chiede il professore, «vanificare l’opera miliardaria (50 miliardi di lire) eseguita in questi anni del post alluvione che si è dimostrata efficace?». —
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