Pediatra assolto per le visite alla bimba

Il dottor Bruno Granati era accusato di omissione d’atti d’ufficio per non aver visto due volte la piccola paziente

FELTRE. Il pediatra visitò la piccola. Assolto il dottor Bruno Granati dall’accusa di omissione di atti d’ufficio, perché il fatto non sussiste. La sentenza è stata pronunciata dal collegio Coniglio Scolozzi e Cittolin, dopo che il pubblico ministero Marcon aveva chiesto una condanna a 10 mesi. Il legale Rech, parte civile della famiglia senegalese, aveva aggiunto 15 mila euro di risarcimento. A discrezione del tribunale per l’allora Usl 2, rappresentata dall’avvocato Coppa. L’unico a credere nell’assoluzione era il difensore Locatelli del foro di Padova, male che andasse il minimo della pena con i relativi benefici.

Il libero professionista a gettone Granati si era visto contestare due mancate visite, tra la sera del 4 e il pomeriggio del 6 dicembre di quattro anni fa, a una paziente di un anno e mezzo, che aveva una frattura “a legno verde” del polso sinistro (lo evidenzierà una radiografia). Il medico ha ammesso un errore, a parte il fatto che i traumi non erano di sua competenza: non aver refertato le visite che aveva fatto e aver comunicato con il Pronto soccorso via telefono.

Il medico di guardia notturna, la sera del 4, era Elisa Possamai, teste dell’accusa: «È arrivata questa bimba alle 21.58 con un trauma all’avambraccio. Piangeva. L’ho valutata alle 22.41, perché i traumi non seguono la via veloce del fast track, e ho ritenuto opportuno chiedere una consulenza al pediatra. C’è stata una richiesta cartacea consegnata ai genitori e da dare al medico. Ma il dottor Granati non l’ha visitata e a quel punto non potevo certo far pagare il ticket. È stata dimessa alle 23.13. Due giorni dopo, la stessa famiglia è tornata e c’era la dottoressa Campigotto. Quel giorno il capofamiglia era agitato e ha chiamato i carabinieri».

Nel secondo accesso, in “trincea” c’era Federica Campigotto, appunto: «Stavo visitando e inizialmente della procedura si è occupato l’infermiere del triage. Mi è stato detto che la bambina era già stata valutata e ho chiesto una consulenza pediatrica. Granati non l’ha fatta e l’ho anche scritto. Secondo lui, i traumi non erano di sua competenza e non aveva la sfera di cristallo per capire se ci fosse qualcosa di rotto. Serviva una radiografia, ad ogni modo non aveva refertato nulla».

L’infermiere allo sportello del triage era Enrico Lio: «Ho ricevuto la paziente verso le 14 e c’era parecchia gente in coda. A distanza di due giorni, non alzava il braccino. Ho fatto io la richiesta di visita, ma il pediatra mi ha telefonato seccato, dicendomi che non era lui a dover vedere i traumi. Con una seconda chiamata, gli ho chiesto di mettere tutto per iscritto. Il padre era molto arrabbiato e ha parlato di razzismo, prima di telefonare ai carabinieri».

C’era una mail che regolava la gestione dei traumi e l’ha ricordata il primario Edoardo Rossi: «Si doveva passare dal Pronto soccorso, prima della consulenza pediatrica. Il 6 dicembre c’era parecchia tensione nel nostro reparto. Mi sono scusato con il padre della bimba, perché il paziente dev’essere al centro e, in questo caso, non lo era stato. Inaccettabile che non ci sia stata una risposta ufficiale a una consulenza richiesta».

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