Passo Campolongo, droni e mappature per proteggere gli hotel dalle slavine

I privati si mobilitano commissionando uno studio accurato. Realizzando le opere potranno far riclassificare l’area 
Il pendio nevoso che grava sulle costruzioni al passo Campolongo
Il pendio nevoso che grava sulle costruzioni al passo Campolongo

LIVINALLONGO. Passo Campolongo: un studio permetterà di mettere in sicurezza gli alberghi dalle valanghe con tre valli alle spalle degli edifici e tre file di reti paravalanghe. Una volta realizzate le opere di difesa, le strutture ricettive potranno programmare ampliamenti ed adeguare i servizi.

Dai pendii erbosi senza bosco che sovrastano l’Hotel Grifone (dove veniva in vacanza l’ex premier Prodi), il Residence Campolongo e la vicina Sp 244 della Val Badia sul Passo Campolongo ogni anno scendono slavine. Masse di neve che si staccano dalla cresta e percorrono il declivio fino quasi alle case e che a volte, in passato, le hanno raggiunte.

Il pericolo da valanga nella zona è noto: già nel 1981 il Centro valanghe di Arabba, aveva individuato un’area dalla Sp 244 a 1.850 metri di quota fino alla cresta dell’Altopiano di Cherz, a 2.030 metri. Negli anni il fenomeno su quel versante è stato monitorato dal centro di Arabba e dal 2004 la “pericolosità da valanga” è stata inclusa nel Piano di assetto idrogeologico (Pai). Un vincolo che attualmente non permette alle strutture ricettive, costruite a fine anni Novanta, di prevedere ampliamenti o adeguamenti.

Che fare dunque per consentire ad alberghi e residence di offrire un soggiorno in sicurezza e di proporre un servizio al passo con i tempi, sostenendo l’economia della montagna?

Le proprietà – la Residence Campolongo srl e la Gsgg srl che fa capo all’imprenditore Gianpaolo Girardello – hanno deciso di commissionare allo studio tecnico Geodolomiti dei geologi Chiara Siorpaes, Tiziano Padovan e Alessandro Pontin uno studio per avviare poi la progettazione delle opere di contenimento.

«All’epoca della costruzione degli edifici», spiega Chiara Siorapaes, «non c’era tutta questa attenzione allo specifico pericolo da slavine. Solo nel 2004 con il Pai la zona dove sorgono le strutture è stata classificata come P2 (rischio medio). Ma tutta la zona retrostante è già in P3, ovvero rischio alto».

Per progettare le difese serve così studiare il fenomeno naturale. «Il primo passo», spiega Siorpaes, «è stato quello di confrontarsi con il Centro valanghe che ha raccolto un corposo archivio storico oltre alla registrazione dei dati nivologici di diverse stazioni sul territorio. Tre quelle prese in considerazione, compresa quella vicina sul Cherz, per determinare l’altezza massima della neve al suolo per ogni anno e per determinati i “tempi di ritorno” nel sito. Per dimensionare correttamente le opere è infatti importante, oltre a sapere che esiste un fenomeno naturale, conoscere ogni quanti anni possa verificarsi con una intensità superiore alla media. Il passaggio successivo è stato comporre lo scenario di progetto, cioè i volumi di neve coinvolti dalle valanghe, individuando le aree di distacco e l’altezza reale della neve lungo il versante».

Per questo i tecnici si sono avvalsi di tecnologie digitali per definire le modalità di evoluzione e di propagazione dei possibili fenomeni.

Con rilievo aerofotogrammetrico da drone sono state quindi riprodotte le caratteristiche topografiche del pendio e, con software appositi, perimetrate a computer le zone di potenziale distacco delle valanghe con l’analisi incrociata dell’inclinazione, concavità e presenza di cambi di pendenza del versante con i dati storici.

Per calibrare il modello numerico e quindi per definire alcuni parametri propri della neve, come coesione, densità e attrito all’interno della massa nevosa, è stata realizzata una specifica analisi sull’evento storico più critico, ovvero la valanga che ha interessato la porzione nord-est di uno dei fabbricati, considerando che lo stesso evento potesse avvenire ogni 30 anni. Quello che in termini tecnici si chiama “tempo di ritorno”. —




 

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