Ottica Frescura, una storia iniziata cento anni fa

Nel 1919 nonno Celestino si spostò da Rizzios a Feltre in cerca di fortuna «E siamo sempre qui a scommettere sul futuro», dicono Carmina e Barbara



L’Ottica Frescura compie cent’anni e lo fa rinnovandosi profondamente. Il negozio della famiglia Frescura è stato ed è un punto di riferimento per la comunità feltrina, non solo per il settore merceologico al quale si rivolge, ma anche per la memoria fotografica costruita da Giovanni Frescura, oltre che per essere il punto d’appoggio della locale sezione del Cai.

Cento anni esatti per la famiglia Frescura a Feltre, perché tutto nacque nel freddo gennaio del 1919, come raccontano le sorelle Carmina e Barbara: «Eravamo nel pieno dell’inverno 1919, faceva un gran freddo e il nonno Celestino, all’epoca diciannovenne, giunse a Feltre da Rizzios, con la mamma e il fratello Ferruccio. Era l’immediato dopoguerra, in Cadore si faceva la fame e un conoscente li aveva avvertiti che verso la pianura c’erano possibilità lavorative e qualcosa senz’altro avrebbero trovato da fare».

I primi tempi non furono dedicati all’ottica?

«La prima attività commerciale del nonno Celestino, in realtà, era quella di arrotino, faceva, infatti, l’ambulante. Però, il fratello maggiore Ferruccio, nel frattempo, aveva imparato a molare le lenti e aprì un piccolo laboratorio in vicolo Bertondelli».

Fu quello l’inizio di questa lunga storia familiare?

«La prima apertura del negozio vero e proprio fu qui vicino, in pratica sulle scalette, dove c’era un negozio di generi alimentari. Dopo di che il proprietario dello stabile dove siamo tuttora, ne propose al nonno l’acquisto, a cavallo tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta, e da allora non ci siamo più mossi. La famiglia del nonno si trasferì a vivere al piano primo, mentre al piano terra c’era la bottega. In quegli anni, esattamente nel 1930, nasceva anche nostro padre Giovanni».

Dopo la guerra Feltre visse un periodo duro ma felice...

«C’era un grande fermento culturale ed erano anni in cui c’era fiducia nel futuro, tutto poteva andare solo in meglio. Il papà venne affiancato da Guido Didonè e successivamente da un altro collaboratore fidato, come Toni Fiabane, detto “el barba”. Inizialmente il negozio era un bazar, c’era l’ottica, si vendevano e molavano coltelli e forbici e poi c’erano articoli da caccia, pesca, rasoi, sapone da barba, dopobarba, profumeria. Dagli anni Settanta in poi, invece, mio papà decise di avere un taglio molto più settoriale, dedicandosi all’ottica, all’optometria, agli articoli legati alla montagna, come i binocoli e all’applicazione delle lenti a contatto, un campo nel quale fu tra i primi a comprenderne gli sviluppi importanti. In realtà, alla vendita vera e propria si è dedicato poco, occupandosi soprattutto dello studio e della fotografia. Negli anni Ottanta, poi, ci fu un corposo intervento di ristrutturazione a questo immobile, che venne essenzialmente svuotato e ricostruito in base alle esigenze dell’attività. Fino agli anni Novanta il commercio fu senza dubbio in crescita, noi, per esempio, avevamo anche un secondo punto vendita in via Tezze e avevamo cinque dipendenti».

In un momento economicamente tutt’altro che facile, avete scelto di investire in corposi interventi ...

«Non è semplice arrivare a capire che, se le cose non vanno come si auspica, bisogna cambiare. Noi sorelle ci siamo dedicate prima alla famiglia e poi all’attività economica. Il commercio sta vivendo una fase complessa e le alternative che avevamo erano o di chiudere, comunque esclusa finché era vivo papà, oppure di cambiare il nostro modo di fare commercio. Abbiamo deciso di seguire questa seconda strada, come sfida e con la speranza di sollecitare così un eventuale ricambio. C’è chi ci ha detto che la crisi è finita, che bisogna reagire e approfittare dei mezzi nuovi, di essere disponibili al cambiamento e così stiamo cercando di fare, a partire dall’utilizzo dei social network e ora con questi nuovi importanti lavori di rinnovo».

Avevate già compiuto scelte precise per distinguervi nel mercato dell’occhiale?

«Dal 2011 abbiamo abbandonato la fotografia, era ancora in vita papà, che ha deciso, assieme al nostro collaboratore storico Erminio Venzon, che fosse lui a proseguire in quel settore. Ci siamo dedicate soprattutto all’occhiale da vista e da sole, abbandonando le firme una decina di anni fa, preferendo loro il made in Italy con materiali innovativi, come i materiali provenienti dal riciclo. Esistono tante piccole realtà industriali, quasi a livello famigliare, che lavorano e producono con qualità, originalità, innovazione e artigianalità, peraltro, molte di queste realtà operano in Cadore, ossia da dove provengono le nostre origini. Non è stata una scelta facile, perché effettivamente è più semplice vendere un Ray-Ban, ma ci sta dando soddisfazione. C’è chi apprezza l’occhiale diverso, forse anche perché ci rapportiamo con una clientela che cerca un prodotto che sia particolare». —

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