Micromalteria? Avanti, c'è posto

L'idea di Gianni Bonesso di Mel che da anni produce birra da orzo
Gianni Bonesso nella sua micromalteria
Gianni Bonesso nella sua micromalteria
Puntuali, sono arrivati per pranzo quelli dei giochi di ruolo «Le rune del lupo». Il lupo sta per San Giovanni Lupatoto (Verona). Ma per la prima volta non sono qui, all’agriturismo di Col de Venz di Gianni Bonesso, per una tappa dei campionati italiani, solo per il week end. Hanno scoperto Bonesso anni fa arrivando al Castello di Zumelle, bello scenario per i loro giochi. E intanto si fanno una birretta. Già, perché Bonesso è famoso per essere uno dei sessanta microproduttori di birra del Veneto. Quelli che si fanno la birra in casa. Quelli che la passione ce l’hanno nel sangue. Gianni è geometra, ma è figlio, o meglio nipote, d’arte. Giovanni Bonesso, il papà, è stato per decenni il geometra di Mel per antonomasia. Il nonno, cioè il papà di Pina la mamma di Gianni il birraio che adesso aiuta il figlio all’agriturismo (oltre ad organizzare la via crucis vivente), era, guarda caso, un dirigente della Birreria Pedavena venuto da Bologna a dirigere il deposito di Belluno. La storica Birreria è stata la fucina di mastri birrai, e insieme la levatrice di una cultura birraria. «Bel mondo, quello della birra», dice Gianni, «ti aiutano in tutti i modi, ti passano le conoscenze, ti spiegano i segreti, generosi e disponibili a insegnarti. Ci sono decine di persone che la birra se la fanno in casa.


La facevano tutti i dipendenti della Pedavena». Lui produce due linee di birra, una chiara e una scura. Quella chiara è, per la verità, ambrata. «E sto pensando a una terza linea, di rossa». La scura sa di caffè e liquirizia. Si è messo a posto l’antico edificio, ha lasciato l’acciottolato della stalla, ha sistemato il tetto. Dentro, ecco le stanze per gli ospiti al piano di sopra, e sotto la sala da pranzo e il «laboratorio» della birra. In estate un tendone. Di fronte alla casa, che risale al Quattrocento, il panorama della Val Belluna. Lui ha un’idea: promuovere, insieme agli altri micro-produttori, una piccola malteria. In Italia adesso ce ne sono solo due, e naturalmente lavorano su scala industriale. A Melfi, dove c’è la malteria della Castello (quella della Birreria Pedavena), andrà anche l’orzo che verrà prodotto nei comuni del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi. Dopo la maltatura tornerà a Pedavena. Non c’è però ancora una micromalteria: «Avrebbe l’effetto positivo di moltiplicare la produzione di orzo», dice Bonesso, «e poi verrebbero qui a maltare anche altri produttori da fuori provincia». Lui, a differenza di altri produttori in provincia che, dice, partono dai preparati, la sua birra la fa proprio dall’orzo. Che coltiva da solo. Mezzo ettaro gli basta per 70-80 ettolitri l’anno, ma l’orzo lo usa come succedaneo visto che non c’è la malteria e lo zucchero dall’orzo lo tiri fuori solo con la maltazione. «E’ sparita ormai non solo la coltura, ma anche la cultura dell’orzo, che una volta era generale. Adesso se ti serve una mietritrebbia tocca andare a cercartela a Treviso», dice Bonesso. Anche per il luppolo occorre andare sui prodotti industriali: eppure si potrebbe coltivare, la pianta cresce anche qui. Lui ci ha provato. Basta non sbagliare il posto dove piantarla, come gli è successo una volta.


E per l’orzo, è bene recintare: che non capiti come quell’anno che un gregge di pecore di passaggio se l’è mangiato tutto in una notte, peggio del passaggio degli unni. Quanto all’acqua, che è la base della birra, in zona è ottima, solo un po’ calcarea. Ma prima di mettersi a fare la cotta, è bene chiamare il comune per sapere se per caso proprio quel giorno non ci abbiano aggiunto del cloro. La birra al cloro non è davvero il massimo. Acqua, orzo, lievito, luppolo: ecco gli ingredienti. E se vuoi sapori diversi puoi anche vedertela con castagne, mais, fagioli, perfino peperoni. Si parte, naturalmente, sempre dal cereale. La cotta, poi, la devi curare con affetto. Dalla sera all’alba. Devi star lì ad accudirla tutta la notte come un bambino: se sbagli qualcosa la puoi buttare. Reggerebbe economicamente una micromalteria? Difficile dirlo. Certo no, se ci si mette in un’ottica industriale. «Però anche il trasporto dell’orzo a Melfi, che sta all’altro capo dell’Italia, costa parecchio», dice Gianni Bonesso, «ed anche il controllo delle partite d’orzo non è davvero così scontato. Cercare di rilanciare con tanta fatica le vecchie specie di orzo autoctono, e poi rischiare di mescolarle, è un po’ una contraddizione». Chissà se i microproduttori riusciranno alla fine a mettere in piedi una piccola malteria. Intanto Bonesso si prepara a fare anche la gelatina di birra, sulle orme di Teo Musso, mitico birraio della Val d’Aosta. La gelatina Gianni l’aveva anche fatta, in tanti vasettini andati a ruba a Fornesighe. Ora ha affinato la tecnica ed è pronto alla nuova avventura.

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