Marangoni, tutti a casa gli 85 dipendenti

I sindacati chiedono la cassa integrazione
«Padri di famiglia restano senza lavoro»
Lo stabilimento di Feltre della Marangoni
Lo stabilimento di Feltre della Marangoni
 FELTRE. Dopo 33 anni di attività la Marangoni chiude. E per gli 85 dipendenti, molti dei quali padri di famiglia con il mutuo e i figli da mantenere, comincia la parabola dell’angoscia. E’ di ieri il drammatico incontro fra l’azienda, rappresentata dall’amministratore delegato Massimo De Alessandri, e i sindacati che dopo essersi opposti alla mobilità di 70 operai e 15 amministrativi, sperano sulla mediazione della Provincia e sugli ammortizzatori sociali, rivendicando la cassa straordinaria programmata. Già oggi partirà la raccomandata per la cessazione dell’attività.


 Il campanello d’allarme si era fatto sentire in dicembre quando l’azienda, la cui sede madre è Rovereto, si era guardata dal presentare ai sindacati il piano di budget produttivo per il 2009.

 «E’ stato un segnale inquietante», spiega Giuseppe Colferai (Cgil), «che in qualche modo ci ha preparati al tavolo con la proprietà».


 All’incontro con la dirigenza erano presenti, oltre ai sindacati confederali, anche le rsu. L’opposizione sindacale alla mobilità si è però scontrata su un dato di fatto oggettivo, che è quello della crisi strutturale, più che congiunturale, che coinvolge il settore auto. Sul finire degli anni Novanta, la produzione aveva toccato il milione di pezzi. Quest’anno si sono di poco superate le quattrocentomila unità. Una parabola discendente, iniziata nel 2004, anno della prima grande flessione. «Di fronte a dati tanto sconfortanti, l’azienda non pensa neppure ad un rilancio dello stabilimento, che potrebbe comportare la cassa straordinaria, e ha comunicato la cessazione dell’attività. E questo nonostante avessimo rappresentato le gravi ripercussioni di questa scelta sulla pelle di padri di famiglia e di famiglie monoreddito. Abbiamo anche cercato di persuadere la dirigenza aziendale che magari il polo feltrino ha dei punti di forza, come il minor costo del lavoro ed altri vantaggi. Invano. Quello che noi possiamo fare è condividere questo problema con il comune, la Provincia e la Regione e promuovere dei corsi di riqualificazione per i dipendenti che restano senza lavoro».


 Il pensiero va piuttosto alla ricollocazione che non sarà facile. Tempo 75 giorni, 45 per chiudere la procedura di fine attività e altri 30 per la mediazione della Provincia, e i dipendenti, che per ora mantengono un rapporto con l’azienda, saranno a spasso.


 «Una volta preso atto che non c’è sostenibilità dal punto di vista produttivo», spiega Nicola Brancher (Cisl), «la nostra mossa è quella di chiedere un incontro urgente con la proprietà alla presenza anche di Assindustria. La Marangoni è una realtà finanziariamente solida, anche se purtroppo il calo della produzione ha effetti pesanti sulle scelte aziendali. E’ necessario ragionare tutti insieme attorno a un tavolo perché qui si perdono troppi posti di lavoro e la ricollocazione dei dipendenti può essere molto difficile».


 Lo stabilimento feltrino ha sempre improntato la produzione sul trasporto leggero, dalle auto ai furgoncini, diversamente dalla casa madre, quella di Rovereto, specializzato in maxigomme e pneumatici per movimento terra. Qui si decideranno le sorti di 70 operai all’incontro fra azienda e sindacati di oggi. Una delle ipotesi potrebbe essere quella dello spostamento della linea feltrina nella sede di Rovereto.

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