Lega verso il congresso, Maroni vuole un Tosi senza rivali

VENEZIA. Un incontro vis-à-vis, tra vecchi amici, in via Bellerio a Milano. In clima capovolto rispetto a qualche mese fa, quando Umberto Bossi bollava Flavio Tosi come «Lo stronzo che ha portato i fascisti in Lega» (intimandogli di rinunciare alle liste personali) e il Cerchio Magico tentava di imbagliare Roberto Maroni vietandogli comizi e incontri pubblici. Ora i pretoriani del dimissionario Senatur sono in rotta, tra scandali e rivolta dei militanti, Bobo si erge a ultima chance di un Carroccio sbandato e il sindaco uscente di Verona persegue due obiettivi: vincere le amministrative al primo turno, conquistare il timone lighista.
Così Maroni, nei giorni della bufera, raccoglie le idee e annuncia al luogotenente la volontà di proporlo come candidato unitario alla segreteria veneta. Una mossa rischiosa, perché Tosi è concepito come un “eretico” dalla vecchia guardia bossiana (che non gli perdona il rifiuto del secessionismo e la “simpatia” verso il tricolore) ma giudicata necessaria per voltare davvero pagina rispetto alla lunga leadership di Gian Paolo Gobbo.
Tosi, da parte sua, ricambia il sostegno a nome dei Barbari sognanti: «Il nuovo segretario federale dev’essere quello più capace e bravo, che porta più consensi. Roberto Maroni rientra in pieno in questo identikit», fa sapere a Radio 24. E nell’occasione si toglie un assolino escludendo il ritorno di Bossi al comando - «E’ come se io pensassi di fare il sindaco fino a ottant’anni. Bisogna dare spazio ai giovani, al ricambio, come nel mondo delle imprese e del lavoro» - salvo tributargli l’onore delle armi: «Bossi ha creato il movimento con un’intuizione geniale. Dunque resta il nostro padre nobile che ha dato tutto se stesso e purtroppo anche fisicamente. Resta una persona onesta e indiscutibile, visto che le indagini non lo stanno nemmeno sfiorando. Il suo ruolo è quello, il padre nobile del movimento, è corretto se rimane presidente della Lega».
Sibillino (ma neppure troppo) il suo commento all’ambizione lighista di conquistare il vertice alla Lega spezzando il monopolio lumbard: «La questione territoriale ha poco senso: se i lombardi vogliono un lombardo, gli emiliani un emiliano e i veneti un veneto allora buonanotte, dividiamo la Lega e la spacchiamo. A qualcuno piacerebbe, ma non succederà». Dove il messaggio cifrato è rivolto all’altro cavallo di razza del leghismo veneto, il governatore Luca Zaia. Da più parti lo si vorrebbe alla testa dei padani, l’interessato (che gode di vasta popolarità nella base) continua a declinare l’invito ma le pressioni degli orfani di Bossi si moltiplicano.
E una riprova dei toni assunti dallo scontro interno giunge dal Padovano, chiamato a congresso il 29 aprile. Una federazione forte di mille militanti, destinata a influenzare gli equilibri regionali, dove il confronto tra l’ortodosso Roberto Marcato e il “barbaro” Alessandro Paiusco diventa resa dei conti, scandita da parole grosse e avvertimenti minacciosi. Entrambi i competitor sfoggiano ottimismo sull’esito finale ma il vincitore rischia di ereditare un vulcano in eruzione.
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