Lega nella bufera, parla Tosi: «Pronto per la segreteria veneta»

VENEZIA. Flavio Tosi, lei ha detto che le dimissioni di Bossi sono un trauma. Quanto tempo ci vorrà perché vi riprendiate?
«Diciamo che essere abituati da vent’anni a chiamare Umberto Bossi il Capo, poi d’improvviso il Capo non c’è più perché si dimette...»
Ci vorranno altri vent’anni?
«No, ma è chiaro che la cosa provoca uno sconvolgimento non indifferente. Anche se Bossi si è dimesso da signore, nel momento più opportuno».
Non aveva molta scelta.
«Io mi sono procurato l’elenco di tutti gli indagati e i condannati di Pd, Pdl, Udc. Sono un’infinità. Ma dopo Tangentopoli nessun segretario di partito si è dimesso per indagini giudiziarie. Bossi l’ha fatto, benché le cose siano state combinate a sua insaputa».
La sua segretaria dice di no.
«Un conto è che ti dicano una cosa, un altro di come te la dicono, come te la fanno passare. È tutto da verificare. Lui è l’unico segretario che si è fatto da parte per impedire che la Lega venga assimilata nei comportamenti agli altri partiti».
Fior di politologi prevedono che la Lega imploderà come il Psi di Craxi.
«Questa considerazione è offensiva nei confronti della Lega. Non esiste una corruttela così diffusa. È un partito sano che fa pulizia al suo interno in maniera seria e precisa».
Non teme ricadute sulla sua campagna elettorale?
«Girando tra le piazze e i mercati ho percepito nettamente che il cittadino veronese - ma immagino valga in generale - distingue perfettamente le persone e i comportamenti. Stamane, per dire, tre elettori che si sono autodichiarati di sinistra mi hanno detto: alle comunali votiamo lei. E siamo ad avvenimenti ancora freschissimi».
E gli elettori leghisti?
«Prima del gesto nobile di Bossi, c’era moltissimo malumore, imbarazzo, disunione. Adesso c’è molta serenità, molta compattezza. I soldi del partito sono soldi pubblici, arrivano dalle tasse, è denaro che ti dà lo Stato. È come rubare. È fondamentale che Stefano Stefani - non ho dubbi che lo farà conoscendolo - tiri fuori le carte relative a tutto quello che si è letto sui giornali. Chi ha utilizzato i soldi usciti dalla Lega, deve andarsene. È un’operazione di trasparenza che aiuterà molto in chiave elettorale».
Dalle intercettazioni saltano fuori collegamenti con la criminalità organizzata.
«Sarebbe di una gravità enorme. Se fossi nei panni di Bossi chiederei di vedere tutte le carte, per capire se e cosa mi è stato nascosto».
Luca Zaia dice che se la Lega prenderà una bastonata elettorale se l’è meritata. Lei incluso?
«Su Verona io sono il sindaco uscente, tutto sommato abbastanza benvoluto, mi ripresento con maggior forza. Ma in altre realtà, dove non hai il sindaco uscente o il voto è più politico, è chiaro che qualcosina pagheremo».
Per Manuela Dal Lago non esistono bossiani, maroniani o cerchio magico: solo leghisti. Siete tornati tutti uguali?
«Diciamo che alcune persone, tra cui non c’è Manuela Dal Lago, hanno vissuto dal 2004 in poi di luce riflessa: poco consenso personale, poco lavoro sul territorio, peso e ruoli dovuti solo ed esclusivamente alla vicinanza a Umberto Bossi. Questo è il nodo».
La Dal Lago gestirà la transizione per il Veneto e non parla bene di lei.
«Al di là che mi trovi più o meno simpatico, Manuela Dal Lago è una che si è conquistata i voti sul campo. Ha meriti e capacità, non vive di luce riflessa. Immagino che il triunvirato lavorerà assieme e bene per preparare il congresso».
Intanto alla Dal Lago non risulta che il congresso veneto sia stato fissato.
«C’è una delibera del federale che fissa la data ultima per i congressi della Lombardia e del Veneto al 21 giugno. Sono convintissimo che verrà rispettata».
Che Lega sarà quella dopo Bossi?
«Un partito che tornerà ad essere molto concreto, molto operativo sul territorio, meno romano. Che ha equilibrio e lucidità di analisi: se fa opposizione è argomentata, se fa proposte non sono demagogiche».
Se siamo al dopo Bossi, siamo anche al dopo Gobbo?
«Vedremo al congresso, si candiderà chi meglio crede».
E non dice altro?
«Diciamo che non è improbabile una mia candidatura. Ma prima ci sono le elezioni a Verona, un passo alla volta».
Lei non si sente in qualche modo vincitore?
«No, mi sento quello di prima. Se talvolta Bossi ha alzato i toni verso di me, non mi ha mai impedito di esprimere le mie idee».
Non ha corso il rischio di essere buttato fuori?
«Alla fine Bossi, nel contrasto che dicevo prima, tra chi non ha i voti e non ha il consenso e chi ha i voti e il consenso, è sempre riuscito a far prevalere l’interesse del movimento».
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