Le ultime parole: finirò in manicomio

Due telefonate alla sorella prima di spararsi: «Sono confusa, non ricordo nulla»
I soccorsi allo stadio Tenni di Treviso
I soccorsi allo stadio Tenni di Treviso
SOVRAMONTE.
«Sono confusa, non ricordo nulla... Mi chiuderanno in manicomio... Non ho saputo neppure rispondere a una richiesta di informazioni...». Sono le ultime parole della poliziotta quarantaduenne Luciana Callegher al telefono con la sorella, le ultime frasi pronunciate prima di puntarsi la pistola contro il mento e spararsi. Il drammatico gesto è arrivato alla fine di una giornata convulsa in cui la donna, che soffriva di depressione, ha tenuto un comportamento giudicato «anomalo» anche dai vicini di casa trevigiani che hanno riferito come fosse andata su e giù per le scale diverse volte in poco tempo.


Le due telefonate.
Domenica Luciana Callegher chiama due volte la sorella al telefono. La prima a mezzogiorno. «Ho perso le chiavi dell’armadietto e anche il cellulare», dice la poliziotta molto turbata per l’accaduto. E infatti aggiunge: «Oggi mi è successo di tutto. Spero non mi succeda altro». La donna quel giorno è assegnata all’ordine pubblico durante la partita Treviso-Grosseto. Ed è dall’esterno dello stadio, poco dopo le 16, che Luciana fa la seconda telefonata. L’agente usa il cellulare della collega Paola Da Re. La poliziotta è preoccupata: «Sono confusa, non ricordo nulla», dice Luciana. E poi: «Mi chiuderanno in manicomio».


A turbarla, chiarisce, è l’incapacità quel pomeriggio di aiutare una persona che l’aveva fermata: «Non ho saputo rispondere a una richiesta di informazioni», spiega. Poi passa il telefono a Paola Da Re che, a sua volta, scambia qualche frase con la sorella di Luciana. Quando la telefonata si chiude, il dramma ha inizio: la poliziotta si porta l’arma alla testa e spara due colpi a vuoto, perché la sicura è ancora inserita. Paola Da Re si lancia su di lei per fermarla, mentre grida alle persone presenti di allontanarsi. Luciana corre via, l’altra la insegue, cade, si ferisce. Infine il terzo colpo, quello con l’arma puntata al mento andato purtroppo a segno.


Le ore precedenti il tentato suicidio.
Una giornata difficile fin dalle prime ore quella di domenica scorsa per Luciana Callegher portata ad esasperare i piccoli, banali problemi quotidiani. Quella mattina i vicini del quartiere San Paolo notano la donna in preda a un forte stato di agitazione, la vedono salire e scendere le scale di casa più volte nel giro di pochissimo tempo.


I giorni precedenti.
La settimana prima, invece, era stato un contrasto con i vicini di casa a Sorriva a crearle un profondo disagio. Durante i festeggiamenti di San Giorgio c’era stato infatti l’ennesimo contrasto tra la poliziotta e sua madre con i confinanti. Una situazione che si trascinava da tanto tempo: le liti andavano avanti da sei anni.


«Prendi riposo».
La poliziotta temeva ripercussioni sul suo lavoro. Un lavoro che riteneva di non saper più svolgere con la necessaria precisione: il non aver riportato una targa in un rapporto l’aveva inquietata al punto da temere il licenziamento. Luciana aveva deciso di parlarne con il superiore, il comandante Claudio Di Paola che l’aveva rassicurata. E, intuendo lo stato di disagio della donna, le aveva consigliato un po’ di riposo: «Prenditi qualche giorno di ferie, così risolvi i tuoi problemi».


In Procura.
Il caso, per la magistratura, è chiuso. Nessun reato è stato commesso e la dinamica è chiara.

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