Le api «regine» della casa

Lorenzo De Candido divide la sua abitazione con loro
Stefano De Candido di fronte alle arnie che ha nella sua casa un vecchio tabià ristrutturato E’ apicoltore ma anche falegname
Stefano De Candido di fronte alle arnie che ha nella sua casa un vecchio tabià ristrutturato E’ apicoltore ma anche falegname
 SANTO STEFANO.
C'è un uomo che vive con le api. No, non in senso figurato come si potrebbe credere. Lorenzo De Candido, 36 anni, vive proprio in casa con le api, anzi la casa l'ha costruita per loro e poi si è ritagliato una stanza ed una mansarda anche per sé e la famiglia.  «Vieni, vieni, che ti faccio conoscere la Regina», mi dice sorridendo, ma in maniera molto seria. Ed apre uno dei suoi alveari che tiene in località Le Ante, fra Santo Stefano di Cadore e Danta.  L'alveare all'interno contiene una serie di telaini posti in verticale, che lui maneggia con grande destrezza. A dire il vero, anche per salvaguardare il malcapitato cronista, ha provveduto prima ad "affumicare" l'area attorno all'arnia «così stanno più tranquille», spiega convinto. Anche perché qualche giorno fa si sono innervosite ed hanno attaccato la povera moglie Daniela che è finita all'ospedale in osservazione.  «Erano agitate perché affamate di miele, ed erano in lotta fra loro, ma di solito sono tranquille». Meno male che sono tranquille, penso mentre scatto un po' di foto alla Regina ed alle operaie che le ruotano attorno con rispetto.  Lorenzo delle api sa tutto, ma proprio tutto. Ma da dove viene questa passione? «Da mio nonno Onorio Iaccobelli di Spinoso Val d'Agri, in Basilicata. Mio padre lavorava all'estero, in Africa, e io trascorrevo lunghi periodi al sud a casa del nonno e lì mi sono appassionato ed ho deciso che da grande avrei fatto l'apicoltore».  Così Lorenzo De Candido sposta i suoi alveari fra Le Ante, la forcella Dignas, che in Val Visdende conduce verso l'Austria, San Pietro di Cadore, dove abita, ed anche Arsiè sul Grappa. Perché per fare miele buono bisogna scegliere accuratamente la zona dove far volare le api e soprattutto tenere sempre sott'occhio il calendario, per seguire passo passo covate, nascite, voli, impollinazioni, smielature.  «Si parte a primavera con un nucleo, ovvero», spiega Lorenzo, «una famigliola da 30 mila api con una regina, che ha svernato insieme nella mia casetta, in questo apiario. Tra metà febbraio ed i primi di marzo trasferisco tutti i miei alveari (ora ne ho ventisei) ad Arsiè e comincio con le rosacee (mele, prugne ed albicocche) ed i salici. Raccolgo i primi nettari, che servono per sviluppare la covata e per far crescere la famiglia. Da metà aprile alla fine del mese inizia la fioritura del tarassaco, che produce un miele con specifiche proprietà espettoranti e diuretiche. Poi l'acacia dal 7 al 21 maggio circa, quindi la coda dell'acacia che dà vita al miele millefiori. A giugno vengo su a San Pietro, qui alle Ante ed alla Croda delle marmotte in Val di Dignas per il rododendro e il geranio selvatico. E poi abbiamo le melata di abete bianco».  Il procedimento per la smielatura prevede che vengano tolti i telaini dall'alveare, opercolati (chiusi, ndr) con miele maturo e trattati con speciali coltelli. Poi i telaini vengono centrifugati ed il miele estratto viene filtrato e poi spedito nei maturatori e decantato fino ad una percentuale di umidità inferiore al 19%. Ci vogliono circa tre settimane.  A metà luglio si chiude tutto ed inizia quella che Lorenzo definisce la lotta biomeccanica alla varroa, un acaro importato dall'Oriente che attacca le api provocando delle virosi e facendole nascere deformi. In pratica si induce la varroa a concentrare il suo attacco su alcune uova deposte dalla regina e poi le si distrugge prima che, dopo 21 giorni, giungano a maturazione e nascano le api operaie.  Ed ecco il perché dell'importanza del calendario: tutto è cronometrato ed un ritardo potrebbe infettare l'intero alveare.  «Ho cominciato nel 1999 con un alveare a San Pietro ed in un anno ho fatto 30 kg di miele. Ero felice e credevo che, incrementando gli alveari, avrei anche aumentato il miele. Grave errore. L'anno successivo su quattro alveari ne ho persi tre a causa della varroa. E l'unica soluzione, quando scatta questo attacco, è bruciare tutto, affinché non si propaghi alle altre casette».  Oggi Lorenzo De Candido con la sua azienda produce circa 2.500 vasetti da mezzo kg di miele, che vende ai negozi ed ai privati: il costo è 5,50 euro per mezzo chilo e 10,50 euro per un chilo, mentre il miele al rododendro costa in media un euro più degli altri.  Ma la sua, al momento, è ancora soprattutto una passione, perché di lavoro fa il falegname in un'azienda di Dosoledo. Il sogno però è di poter crescere e di rendersi autonomo. «Sì, vorrei fare solo l'apicoltore, ma al momento devo pensare soprattutto alla famiglia, alle mie due figlie di 11 e 17 anni. Cresciute loro, vedremo».  Intanto la casetta se l'è costruita con le sue mani sulla base di un vecchio tabià. Una casetta in un posto delizioso, di fronte al monte Krissin, che divide, appunto, con le sue api.  

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