Lavaredo, Cima Ovest storia di spie e tranelli per firmare la «prima»
«I cavalieri delle vertigini». L’impresa alpinistica tenne col fiato sospeso centinaia di persone alla base della parete

Chiamateli pure «cavalieri». Però i cavalieri di una volta avevano un codice, cavalleresco appunto, tutto loro. Magari si bastonavano di punta e di piatto, però con grazia e rispetto. Poi c’è un altro codice cavalleresco, quello della nobiltà, che era anche nobiltà d’animo (così almeno nella teoria, ché di fatto era ben altra cosa). I «Cavalieri delle vertigini», quelli che negli anni Cinquanta facevano a gara a chi arrivava primo su vette inviolate, mettevano talvolta anche la vita in gioco in nome di un’epica sportiva, riservata a una rude aristocrazia delle montagne, però certi scherzi mancini se li tiravano, in barba all’etica alpinistica. Che per esempio impone di lasciare il passo a chi è più bravo e veloce, invece di ostacolarlo in parete.
I cavalieri delle vertigini del film di Gianluigi Quarti, Fulvio Mariani e Giovanni Cenacchi sono quelli che nel 1959 tentarono la scalata alla Cima Ovest delle Lavaredo. Un’impresa alpinistica di tutto rispetto, in anni in cui erano ancora aperte le ultime sfide per la «conquista» delle Dolomiti. Sicché, complice la televisione che ancora non aveva raggiunto i fasti della società della comunicazione matura, quelle scalate sollevavano un tifo da stadio. Quella della ascensione alla Cima Ovest è una storia di imprese, ma anche di intrighi, di «eroismi» ma anche di ripicche e dispetti, di animo sportivo ma anche di malanimo, di virtuosismi e volteggi sulla roccia ma anche di meschinità. Da una parte gli Scoiattoli di Cortina, i «padroni» del territorio, dall’altra i «foresti», tedeschi, austriaci o svizzeri che fossero (svizzeri in questo caso).
Il video, ricco di suspence e umorismo, riporta 40 anni dopo (è del 2000) in video, ingrigiti, alcuni dei protagonisti di quell’episodio di «guerra» alpinistica. Che rivivono la vicenda con lo spirito dell’epoca. Restò loro nell’animo e nel cuore. Tant’è vero che rivivono quei giorni nel ricordo con non sopita animosità, naturalmente complice (non siamo insomma, a un astio da K2, e del resto le Tre Cime non sono nella zona della morte). Una complicità montanara, anche se i rudi Scoiattoli non sono certo i signorini svizzeri a caccia di imprese. Sono, piuttosto, quelli che «difendono» il loro territorio da un’invasione che viene da fuori, anche se vengono riconosciute agli «invasori» le qualità del montanaro, di uno che sa cosa vuol dire star dritti in pendenza e non in orizzontale.
Però le accuse di scorrettezza non si tacciono. Gli svizzeri (Weber e Schelbert) dicono che gli Scoiattoli han messo uno di loro a far bivacco proprio sopra l’attacco per bloccarli. Gli ampezzani dicono che era il minimo che potessero fare, visto che si erano avvalsi di una «spia» nelle loro file: una bella ragazza, la Gabriella De Meio Puppin, che li aveva avvisati per telegramma quando gli Scoiattoli si eran messi in moto per attaccare la Ovest. Del resto, gli svizzeri l’avevano già tentata, per poi rinunciarvi, ma come si usava «cavallerescamente», avevano lasciato un bigliettino in tre lingue per prenotare la via. Speravano che bastasse, si usava così. Ma non avevano fatto i conti con i cortinesi che non andavano tanto per il sottile, e gli sgambetti, se era il caso, li facevano. Soprattutto se gli «avversari» da battere erano studentelli, arricciavano il naso, si mostravano un po’ aristocratici, portavano nomi eleganti come Hugo (Weber) e Albin (Schelbert). I rivali si chiamavano invece Candido (Bellodìs) e Beniamino «Mescolin» (Franceschi).
Il «tradimento» della Gabriella la mette proprio nei guai. Mentre gli svizzeri mollano gli esami universitari e si precipitano sotto le Tre Cime, la ragazza se la vede brutta, ché a Cortina gli Scoiattoli quasi la menano. Parte la gara, seguita alla base della parete da centinaia di tifosi. E la dimensione verticale - da vertigine - entra nelle case di tutta Italia grazie alla televisione. Gli italiani scoprono un mondo prima sconosciuto, fatto di strapiombi e pareti, staffe chiodi e scalette. Inizia l’epoca d’oro della scalata artificiale, dove però il sesto grado era considerato il limite delle possibilità umane.
Dopo 12 ore di inseguimento, gli Scoiattoli raggiungono gli svizzeri. Bella forza, diranno: noi eravamo appesantiti dagli zaini, loro venivano riforniti dal basso con una carrucola e una lunga fune. Appesa alla fune una cesta, dentro chiodi, ma anche salami e vino. Gli svizzeri propongono: continuiamo insieme. Ma gli Scoiattoli rifiutano. Del resto, bruciava troppo la «perdita» nel ’57 della nord della Cima Grande per una scelta «purista» (niente chiodi a pressione), soffiata poco dopo da una cordata tedesca.
Così gli svizzeri rinunciano, cedono il passo agli Scoiattoli. Dicono che l’hanno fatto per cortesia da gentlemen. Chissà. Certo è che alle 19 del 7 luglio 1959 gli Scoiattoli arrivano in cima, tripudio in basso. Durava dall’alba del 6 luglio. Gli svizzeri escono dalla Cassin, e salgono per una via parallela alla direttissima dei cortinesi. Il 10 sono in vetta.
Il 10 italiani e svizzeri festeggiano insieme. Ma subito dopo i cortinesi attaccano lo spigolo Nord Ovest della Cima Ovest, tetto sopra tetto. Chiodano a pressione di gran lena. Gli svizzeri ci riprovano e attaccano anche loro. Si scontrano con una barricata umana: gli Scoiattoli seduti in parete, con il martello in mano. Loro salutano. Il 20 e 21 luglio gli Scoiattoli (Lorenzo Lorenzi, Albino Michielli, Giuseppe Ghedina, Lino Lacedelli) si sciroppano anche lo spigolo Ovest.
Finita? Macché. Ritorna in scena la Gabriella De Meio Puppin: «A Feltre», spiffera agli svizzeri, «c’è una parete straordinaria alta 500 metri. Gli Scoiattoli ci hanno provato molte volte e non ci sono mai riusciti». Li porta lei in macchina: «Schiatteranno di rabbia». Fu così che Hugo e Albin si fanno in un giorno la facile parete del Pizzocco. Schiattarono di rabbia gli Scoiattoli? Racconta Lorenzo Lorenzi: «Quando l’abbiamo saputo siamo schiattati dalle risate». Naturalmente, come sempre in questi casi, parte la disputa: quella via sulla Ovest è davvero italiana? «Italianissima», dicono gli Scoiattoli. «Macchè, loro hanno fatto solo una piccolissima parte, il resto è tutto nostro», replicano gli svizzeri.
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