La “Tina Merlin” dice no all’utilizzo del lago del Vajont

LONGARONE. Scatta un primo, forte ostacolo all’ipotesi di sfruttare l’acqua del lago residuo del Vajont. Intubare l’attuale cascata che supera la diga e si getta nel Piave potrebbe infatti privare il “fiume sacro alla Patria” del flusso minimo vitale. È un problema che l’Enel, proprietaria dell’impianto, si è già posta più volte nel corso degli ultimi 50 anni, quando in modo ciclico è stata avanzata l’idea di uno sfruttamento del bacino di Erto e Casso.
Nel frattempo fioccano le prime adesioni al costituendo gruppo spontaneo che si oppone al piano di riutilizzo dell’invaso. La più importante, quanto meno su un piano storico, è il no categorico che arriva dall’associazione Tina Merlin. Si tratta del sodalizio nato per valorizzare la memoria della giornalista bellunese de L’Unità che denunciò i rischi del Vajont vari anni prima della frana. Tra i fondatori dell’associazione che oggi manifesta il dissenso all’operazione si conta anche il figlio della Merlin, il giornalista Toni Sirena.
«La nostra posizione è di ferma contrarietà ad un progetto che più volte nel tempo è stato bocciato per la questione morale ma anche ambientale e finanziaria», hanno commentato le responsabili dell’associazione Adriana Lotto e Graziella Balbinot. Tornando alla questione del deflusso minimo vitale, in effetti il lago del Vajont potrebbe essere usato a scopi di lucro già ora come ora.
«Non servirebbe alcuna modifica all’impianto, essendo sufficiente convogliare l’acqua di Erto e Casso nelle condutture di collegamento con la Val Gallina e la centrale di Soverzene», ha spiegato al proposito l’ex commissario e sindaco di Erto e Casso, Italo Filippin. «È la quarta, forse quinta volta che negli ultimi 50 anni si è parlato di impiegare per denaro il nostro invaso. L’Enel non ha mai compiuto questo passo così significativo per la popolazione, la memoria e la storia. Non mi risulta che sia solo una vicenda morale, dovendo comunque assicurare l’habitat alla flora e alla fauna ittica del Piave».
I Comuni di Erto e Casso, Longarone e Castellavazzo hanno costituito un’apposita società per sfruttare la cascata della diga. Nella compagine ci sono anche i due privati che nel 2000 proposero l’idea della centralina ma vennero stoppati da superstiti, mondo politico e dagli stessi municipi. Stavolta a sollevare obiezioni istituzionali c’è il quarto Comune coinvolto nel disastro, quello di Vajont. Che è anche quello che, per voce dell’assessore Fabiano Filippin, ha manifestato per primo riserve e perplessità sul progetto.
Da parte loro varie sigle ambientaliste hanno già annunciato battaglia.
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