La stalla e poi l’agriturismo: «Questa vita non è da tutti»

Nicola Da Forno gestisce con la moglie Federica un’azienda agricola a Pozzale. «La montagna è tenuta in vita da chi la abita quotidianamente, non dai turisti»
Azienda Agricola Da Forno e Agriturismo La Pausa a Pozzale di Pieve di Cadore
Azienda Agricola Da Forno e Agriturismo La Pausa a Pozzale di Pieve di Cadore

PIEVE DI CADORE

Nel teorema del “custode del territorio” è spesso racchiuso un assioma fondamentale, quello di “abitante della montagna”. Non per forza autoctono ma necessariamente stanziale, perché ultimo baluardo prima dell’abbandono e vera speranza contro lo spopolamento. Un’etichetta che batte sulla spalla di chi rende il suo servizio al territorio in modo del tutto naturale e spontaneo, come il 38enne Nicola Da Forno e la sua famiglia. Anche loro partiti da zero e avviati alla pratica agricola con gli sfalci.

Cosa faceva prima di diventare allevatore?

«Mi sono diplomato perito elettrotecnico e dopo la naja ho lavorato per due anni in una ditta di caldaie, poi per altri due nei servizi forestali. Siamo partiti con i contratti per lo sfalcio dei prati di alcuni Comuni cadorini, servizio poi ridotto alle sole proprietà di Pozzale, per via dei costi legati agli spostamenti. Dopo che nel 2004 ho deciso di prendere per hobby le mie prime capre, qualche maiale e alcune vacche, lo sfalcio è diventato fondamentale, perché il fieno è l’alimento che ci serve per nutrire il bestiame. La nostra prima stalla era in affitto, poi, una volta passati da 25 a una novantina di capi, tra cui la razza Grigia alpina, vacca tipica delle nostre zone che dà sia latte sia carne, abbiamo costruito un piccolo caseificio».

Come siete cresciuti?

«Ho comprato il furgone per fare i mercati settimanali, che ora ci impegnano il lunedì a Pieve di Cadore e il mercoledì a Tai. Dal 2007 al 2014 ho gestito assieme a mia sorella Silvia e a mia moglie Federica il rifugio Antelao. Nel 2013 abbiamo acquistato l’agriturismo “La Pausa” di Pozzale, mantenendo il nome del vecchio ristorante, che abbiamo riaperto a luglio del 2014 dopo alcuni lavori di ristrutturazione. Abbiamo soprattutto clienti del posto, ma durante il periodo turistico vengono a trovarci anche molte persone da fuori. Riusciamo a garantire una settantina di posti dentro e fuori, siamo aperti dal venerdì sera a lunedì a mezzogiorno, anche sotto le feste. Federica sta in cucina, mentre io mi occupo della stalla e dei mercati, do una mano in sala solo quando serve».

Come è nato il vostro amore per il territorio?

«Ha sempre fatto parte di noi, visto che siamo entrambi bellunesi di famiglia: Federica è originaria di Nebbiù, località del comune di Pieve. Abbiamo deciso di restare anche se non è semplice, quest'anno, ad esempio, che ancora non c'è stata molta neve può sembrare più facile, ma comunque i servizi sono distanti, il telefono non sempre prende, internet non corre veloce, non ci sono mezzi di trasporto pubblico se non per gli studenti quindi bisogna avere almeno la patente e un mezzo da usare... Insomma, non è da tutti».

Quindi se non è facile viverci, ci salverà il turismo?

«Anche in paese inizia a esserci più movimento grazie ai bed&breakfast o agli affittacamere, ma non basta. Il turismo non salverà la provincia di Belluno perché i residenti dipendono dai servizi e viceversa, se gli uni diminuiscono gli altri sono destinati a scomparire. Il turista può portare ricchezza, ma soltanto chi abita la montagna la può tenere in vita. Ci sono famiglie che decidono di tornare o di venire a stare quassù con i figli, perché convinte che sia il posto ideale dove crescerli, più sicuro e più salutare. Anche noi abbiamo due bambine di 7 e 12 anni a cui stiamo insegnando pian pianino tutto quel che sappiamo: di certo non le obbligheremo a stare qui o a ereditare il nostro lavoro, però ci piacerebbe se crescessero con certi ideali, come l’amore per la natura, gli animali e la montagna».

Perché custodire un territorio?

«Per dare un servizio in più al nostro paese, prima con gli sfalci e poi con l'agriturismo. La manutenzione ambientale è fondamentale sia per noi residenti sia per i turisti, che vogliono vedere territori curati e animali al pascolo, non erba alta e degrado. Se tutte le aziende agricole adottassero dei piccoli accorgimenti nella lavorazione dei terreni, sarebbe tutto diverso. Oltre a questo ripuliamo anche alcuni boschi dove poi portiamo gli animali a pascolare e questo può servire a scongiurare gli incendi. Cerchiamo di non fare soltanto i nostri interessi ma di aiutare il territorio, anche se il più delle volte questo non viene visto, né capito».

Come avete scoperto il progetto Ddolomiti?

«Federica l’ha visto su Facebook e li ha contattati, perché farsi conoscere è fondamentale, ma è anche importante fare rete e noi abbiamo fin da subito apprezzato la loro filosofia. Le copie della guida dei “Custodi del Territorio” che abbiamo tenuto in agriturismo sono state comprate da gente del posto. Aspettiamo per sapere chi ci ha conosciuto grazie a questo nuovo strumento». —


 

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