La Procura non ha accesso a Facebook: archiviate le indagini per diffamazione

LONGARONE. Ai computer della Procura della Repubblica di Belluno è interdetto l’accesso a Facebook, quindi non è possibile identificare gli autori dei messaggi oggetto della querela. È questa la motivazione contenuta nella richiesta di archiviazione della denuncia presentata da Assia Belhadj, dopo che la sua pagina Facebook era stata oggetto di una valanga di commenti che andavano dallo sgradevole al minaccioso.
Nei giorni scorsi la richiesta di archiviazione depositata dal sostituto procuratore Katjuscia D’Orlando è stata confermata dal giudice Enrica Marson, che ha quindi respinto l’opposizione all’archiviazione dell’avvocato di Belhadj, Enrico Rech, senza disporre ulteriori indagini.
La vicenda risale alla fine dell’estate del 2020. Assia Belhadj aveva accettato di candidarsi alle elezioni regionali nella lista “Il Veneto che vogliamo” a sostegno di Arturo Lorenzoni e aveva pubblicato il “santino” sulla sua pagina Facebook.
Nelle due settimane successive la pagina è stata oggetto di un vero e proprio shitstorm, da parte di utenti che hanno offeso, diffamato, ingiuriato e minacciato Belhadj per il solo fatto di essere una donna che indossa il velo.
L’avvocato Rech ha selezionato circa 100 messaggi che potevano configurare un reato e ha depositato la denuncia, integrandola nei giorni successivi su richiesta della Digos con una suddivisione per fattispecie di reato. L’incarico infatti è stato affidato dal pm alla Digos, e non alla polizia postale (cui in genere vengono assegnate le indagini sul web) perché Belhadj era candidata alle elezioni.
Nei mesi successivi è arrivata la prima richiesta di archiviazione da parte del pm e a nulla è valsa l’opposizione del legale di Belhadj, che aveva anche cercato di indicare alla procura la procedura per identificare gli autori degli insulti, risalendo agli indirizzi e mail.
Una decisione che ha profondamente deluso l’ex candidata. «Assia Belhadj crede nella giustizia con la G maiuscola», afferma l’avvocato Rech, «e la sua profonda amarezza per questa vicenda è comprensibile, ma le decisioni vanno accettate anche quando non si capiscono o non si condividono».
Nelle settimane scorse era arrivata anche l’archiviazione di un’altra denuncia presentata da Belhadj, che sosteneva di essere stata oggetto di discriminazione. Nei primi mesi della pandemia, infatti, aveva risposto ad un annuncio di lavoro, legato alla prevenzione del contagio in luoghi frequentati dal pubblico, ed era stata selezionata da un’agenzia interinale anche sulla base delle sue qualifiche ed esperienze precedenti. Quando ha mandato la foto con il velo, però, il lavoro è saltato.
Inizialmente le è stato detto che il posto era già stato assegnato ad un’altra persona, ma due giorni dopo l’annuncio era di nuovo in bacheca. In questo caso, però, i confini penalistici erano piuttosto sfumati nell’ambito della legge Mancino (quella che la legge Zan avrebbe dovuto integrare).
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