La partigiana Del Din madrina a Redipuglia «Votai il Re nel ’46»

Nata a Pieve di Cadore nel 1923, nome di battaglia “Renata” ebbe un ruolo importante come staffetta durante la guerra
Di Walter Musizza
Sara Vito (Assessore regionale Ambiente, Energia e Politiche Montagna), Paola Del Din Carnielli (Medaglia d'oro al Valor militare) e Roberto Cosolini (Sindaco Trieste) alle celebrazioni della Festa della Repubblica. (Redipuglia 02/06/13)
Sara Vito (Assessore regionale Ambiente, Energia e Politiche Montagna), Paola Del Din Carnielli (Medaglia d'oro al Valor militare) e Roberto Cosolini (Sindaco Trieste) alle celebrazioni della Festa della Repubblica. (Redipuglia 02/06/13)

BELLUNO. La ricorrenza dei 70 anni della Repubblica Italiana è stata solennemente celebrata il 2 giugno al Sacrario di Redipuglia ed accanto al Sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano, al presidente del Friuli Debora Serracchiani e a numerose autorità civili, militari ed ecclesiastiche, c’era anche Paola Del Din.

Con i suoi 93 anni portati benissimo, la ex partigiana dell’Osoppo, insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare, è stata la madrina di una festa tesa ad accomunare i Caduti di due guerre mondiali e i tanti sacrifici attraverso i quali si è compiuta la costruzione della nazione e l’avvento della Repubblica. Lei, protagonista della lotta al nazifascismo, è stata chiamata a leggere la motivazione del conferimento della Medaglia d'Oro al Valor militare al Milite ignoto e non si è sottratta poi alle interviste e ai ricordi personali, con una lucidità ed una memoria davvero eccezionali.

Nata a Pieve di Cadore nel 1923, effettiva permanente presso il Comando raggruppamento Divisioni Osoppo dal 22 luglio ’44 al 24 giugno ’45 col nome di battaglia di “Renata”, visse serenamente la sua giovinezza ad Udine, assieme al fratello Renato, classe 1922, anche lui Medaglia d’Oro al Valore Militare, caduto il 25 aprile ’44 nel corso di un’azione contro il presidio di Tolmezzo.

Ai primi di giugno ’44, dopo aver appreso della morte in combattimento del fratello, si offrì di portare a Firenze documenti e carte richiesti dal Comando alleato. Si diresse prima a Padova, poi con l’aiuto di un prete arrivò a Bologna, infine, non esitando a sfruttare perfino automezzi tedeschi, raggiunse Firenze nel pieno dei combattimenti tra tedeschi ed alleati. Trovato fortunosamente il Comando inglese, fu da questo avviata a Roma, dove fu sottoposta ad una serie di interrogatori, e, sospettata a lungo di essere una spia, fu portata infine a Brindisi.

Alla fine però la situazione si chiarì ed ebbe dagli inglesi vivi complimenti per il suo operato, nonché l’offerta di continuare la lotta in Friuli. Nell’aprile del ’45 divenne pertanto staffetta della missione Bigelow e si lanciò col paracadute nei pressi di Mels di Colloredo. Dopo un breve periodo di riposo, anche per rimettersi da una brutta botta ricevuta nell’atterrare col paracadute, fece da portaordini nell’Osoppo fino alla Liberazione.

Il 1° maggio entrava in Udine libera su un camion di fortuna assieme a "Fabio" (Vinicio Lago), che poi finì ucciso in circostanze misteriose. Anche in tempo di pace ha continuato nel suo impegno politico e sociale. Ha studiato negli Stati Uniti, ha insegnato a lungo nelle scuole italiane ed è stata anche presidente dell’Associazione partigiani Osoppo-Friuli. Nel 2010 fece molto clamore la sua netta presa di posizione contro la relazione che accompagnava il decreto emesso dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia, volto a rendere di “interesse culturale” le malghe di Porzus.

Questo perché tale relazione presentava i fatti colà avvenuti nel febbraio 1945 in modo assai ambiguo, insinuando connivenze dei “verdi” con il nemico, ed assecondando la versione data dal gappista Mario Toffanin “Giacca”, già condannato in contumacia. Ma anche a Redipuglia la ex partigiana verde non ha mancato di sorprendere, raccontando di aver votato per la Monarchia al Referendum del 1946, non ravvisando nelle file repubblicane una personalità capace di unire e pacificare gli italiani, ruolo che invece il Re poteva, ancora e nonostante tutto, ricoprire. Una franchezza che le fa onore e che aiuta a spiegare tra l’altro quanto difficile risultasse per quasi metà degli italiani, anche colti e progressisti, rinunciare ad una tradizione consolidata.

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