«Isthar 2», la cronaca del risveglio alla vita di Antonia Arslan

Antonia Arslan al centro del suo nuovo libro
Antonia Arslan al centro del suo nuovo libro
La solitudine, l'immobilità, l'attesa. Ma anche la lotta, la gratitudine, la speranza. E' umana la malattia, così come la mostra Antonia Arslan nel suo ultimo libro: ed è necessario dire che la mostra, non la racconta. Perchè, come afferma lei stessa: «In questo libro non ho inventato niente; infatti non c'è scritto "romanzo", ma "cronache dal mio risveglio". Ed è questo che è: la cronaca delle realtà parallele in cui credi, con una tua logica, quando sei lì tra la veglia e il sonno».  "Isthar 2" - così si chiama l'ultimo lavoro della scrittrice, uscito per Rizzoli in novembre e andato subito esaurito - è l'acronimo del reparto di anestesia-rianimazione dell'ospedale di Padova: dove Antonia Arslan è stata tenuta in coma farmacologico per venti giorni dopo uno shock settico da calcolosi renale.  E' l'esperienza dolorosa e solitaria nell'intermondo del coma a guidare la sua penna: «Rivivere tutto scrivendo, e sapendo di essere stata sul punto di andarmene, è stato duro. Ma io spero che questa mia esperienza possa essere utile ad altri». Così, martedì pomeriggio, in Auditorium Antonia Arslan ha tenuto a battesimo il nuovo ciclo di incontri con l'autore organizzato dalla Biblioteca Civica di Belluno.  «Questa è una delle mie città del cuore - ha ricordato lei stessa - in particolare la frazione di Susin di Sospirolo, dove ho trascorso la mia infanzia». E torna Belluno anche dentro "Isthar 2": «Mentre sei lì tra la veglia e il sonno, riacquisti la tua consapevolezza di esistere come individuo; io sapevo solo che era trascorso del tempo. E' stato come se questo lento risvegliarsi fosse una lotta: tutto quello che c'era nella stanza veniva deformato nel dormiveglia. Sentivo sussurri malefici che mi dicevano: devi venire con noi, per te è finita. E io capivo che dovevo resistere. Mi dava forza ricordare la cadenza di certe poesie, pensare ai luoghi belli: il salotto degli zii, a Susin di Sospirolo; Campel Alto; il piccolo cimitero di Cergnai. E' difficile da spiegare, ma mi bastava il ricordo di Cergnai per sentire gli alberi e il vento».  Molta parte della descrizione di Antonia Arslan va proprio a quella specie di ritardo nella connessione con la realtà vissuto nel coma: «E questo genera degli equivoci colossali: quando sei in quella situazione parti da un presupposto sbagliato e poi vai dietro con tutti i tuoi ragionamenti. Quando sono stata male, dopo una settimana dovevo partire per l'America; io ero convinta di essere in un ospedale americano, e mi dicevo: ma guarda che brava mia figlia; ma come fa a venire tutti i giorni a New York da Padova? E poi mi dicevo: ma guarda questi veneti, dov'è che non arrivano. In un reparto di rianimazione la radio va tutto il giorno: sentivo la reclame in italiano, ed ero convinta che fosse la radio americana».  Poi l'attenzione si sposta sulle infermiere e sugli infermieri: «Non sono solo bravi perchè sanno fare fronte alle emergenze, ma la cosa più importante è la competenza che hanno, unita a una dose di tenerezza: e la tenerezza è proprio quello di cui hai bisogno quando stai male».

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