Il testimone: «Una bomba Sono vivo per miracolo»
ODERZO. «Ho creduto fosse una bomba, sono volato già per il crepaccio, dieci metri di caduta, forse di più. Ho pensato: sono morto». Paolo Lorenzon, istruttore Cai e iscritto alla Scuola roccia Piave Livenza, cerca di mettere a fuoco quanto avvenuto ieri mattina. Anche lui faceva parte del gruppo, legato al suo allievo, entrambi impegnati in un corso avanzato di arrampicata su roccia e ghiaccio.
«Una vera bomba si è scaricata sulla corda di ferro a cui eravamo aggrappati. Sono stato sbalzato giù, sono caduto agganciato al mio allievo per una decina di metri. Per diversi secondi non sono riuscito a capire dov’ero. Ho sentito la scarica del fulmine passarmi attraverso il corpo. Mi sono detto: muoio. Fortunatamente sono caduto di schiena, sul mio zaino e non mi sono fatto nulla. Sono corso dal mio allievo, sotto shock. Il suo volto sanguinava, lamentava un dolore al braccio. Era rotto. Ma c’è voluto poco per capire che più in là si era consumata una tragedia ben peggiore».
Una tragedia però legata alla sfortuna, a un destino beffardo e non prevedibile. Non certo a una scelta sconsiderata di uscire comunque in escursione, spiega Lorenzon. «Avevamo controllato le previsioni. Annunciavano pioggia nel pomeriggio per questo avevamo deciso di anticipare l’uscita attorno alle 4.30 del mattino. Eravamo un gruppo di circa 25 persone. Circa la metà si è diretta verso una cordata più facile. Tra questi anche la moglie di Mirco. Noi invece siamo andati a punta Penia».
A una cinquantina di metri dalla vetta improvvisamente però la visibilità peggiora. «Non siamo spericolati, abbiamo deciso di tornare indietro nonostante le lamentele di qualche allievo. Era un tracciato che avevo già percorso una ventina di volte. Si trattava di passare attraverso una ferratina di 70 metri, “legati in conserva”, questo è il termine tecnico. Poi l’impensabile».
Un fulmine si scarica sulla comitiva. «Non c’era pioggia, nulla. Ero aggrappato alla corda di ferro, mi sono sentito percorrere dall’elettricità che mi ha scagliato giù un volo di una decina di metri. Appena mi sono ripreso, ho controllato il mio allievo. Poi ho sentito pronunciare il nome di Mirco e ho capito che era successo qualcosa di molto grave».
Gli elicotteri arrivano nel giro di un quarto d’ora ma causa della scarsa visibilità non riescono a intervenire. «L’attesa totale dei soccorsi è durata più di un’ora, un inferno. Faceva freddo, c’erano 5 gradi e tantissima umidità».
Il corpo di Mirco giaceva esanime una decina di metri più in là. «L’autopsia verificherà se è morto per colpa della scarica elettrica o della caduta. Quando sono arrivati i soccorsi mi sono messo a piangere e li ho abbracciati». Lentamente gli altri membri della comitiva e i feriti sono stati trasportati a valle. «Mentre eravamo lì la moglie di Mirco continuava a chiamarmi. Aveva capito che era successo qualcosa di grave ma gliel’ho detto solo quando ce l’ho avuta di fronte, abbracciandola».
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