«Il segreto del macellaio? Puntare sulla qualità»

Giovanni De Filippo Roia dopo mezzo secolo è ancora al lavoro nel suo negozio «Al di là della passione, bisogna essere anche un po’ psicologi e un po’ cuochi» 



. Era il 1968 quando ha cominciato a lavorare. Mezzo secolo dopo, non ha ancora smesso: tira su la saracinesca alle 6. 30 e la abbassa alle 19. Porta avanti, insieme al fratello Sergio, un’attività imprenditoriale avviata dal papà Nello e divenuta presto punto di riferimento per paesani e turisti: la macelleria Da Nello, ad Auronzo.

Classe 1954, Giovanni De Filippo Roia è un imprenditore che, pur avendo raggiunto l’età della pensione, continua a fare con passione il proprio mestiere. «Cerchiamo di resistere», dice Giovanni. «Resistere all’età che avanza, al lavoro che cambia, alle incombenze burocratiche, ai margini di guadagno che si riducono sempre di più. Fermo non sto».

Fermo non lo è mai stato mai, del resto. «Ho iniziato nel 1968, subito dopo aver finito la terza media, lavorando insieme a mio padre Nello, che aveva aperto un’attività propria l’anno precedente, dopo aver fatto il macellaio come dipendente. Ho iniziato con le consegne agli alberghi di Auronzo, trasportando la carne in bicicletta, di primo mattino. Pian piano ho imparato il mestiere, un mestiere che è cambiato parecchio in questi anni. Ad esempio, oggi compriamo e lavoriamo le mezzene, mentre fino agli anni ’80 ogni quindici giorni andavamo in Pusteria a comprare tre-quattro bestie. E della bestia si utilizzava e si vendeva tutto, perfino gli zoccoli. Anche le pelli avevano un valore: con quelle ti pagavi i costi della macellazione, che facevamo al macello che c’era qui ad Auronzo».

Oggi invece?

«Il nostro lavoro è diverso perché è diverso il modo di vivere. Mentre un tempo la casa e la cucina erano il regno della classica massaia, oggi il novanta per cento delle mogli lavora e il tempo per fare la spesa e cucinare è ridotto: di conseguenza si cercano prodotti di veloce preparazione, i cosiddetti preparati. Bisogna adeguarsi, certo. Ma noi puntiamo sempre sulla qualità, sulla macelleria vecchio stampo. Credo che sia l’unico modo per resistere alla concorrenza, ad esempio quella dei supermercati, e per continuare a fornire un servizio ai nostri paesi: i piccoli negozi sono la salvezza delle nostre comunità che, anche senza questi esercizi commerciali, si spopolerebbero ulteriormente».

Resistere non è facile...

«Non lo è per diversi motivi. Devi fare i conti con le incombenze legate alle normative e ora c’è anche l’obbligo della fatturazione elettronica, passaggio non semplice. Oltre che macellaio, sono anche un po’ contabile: appena arrivo in negozio, alle 6. 30, la prima cosa che faccio è controllare i conti. Sono un tipo pignolo e mi piace che tutto sia in ordine. Ma non è per nulla facile rimanere al passo con tempi e far quadrare i conti. Diciamo che oggi è bravo quell’imprenditore che riesce a mantenere quello che ha, che riesce a non disperdere quello che hanno fatto i vecchi».

Se guarda indietro, cosa vede?

«Vedo una vita fatta di lavoro e passione. Sempre alla ricerca del meglio. Come quando, ad esempio, nel Duemila abbiamo rimodernato tutto il negozio. Il bilancio della mia attività è positivo. Quando smetterò di lavorare non avrò nulla da rimpiangere».

Quali sono le qualità che deve avere un buon macellaio?

«Al di là della passione e delle necessarie competenze tecniche, un buon macellaio deve essere anche un po’ psicologo, nel saper interpretare le richieste del cliente, e anche un po’ cuoco, per poter consigliare un acquisto o suggerire un abbinamento di cibi».

Quali sono state le soddisfazioni più grandi della sua attività lavorativa?

«Una grande soddisfazione è, ad esempio, quando alla fine della vacanza il turista viene ad acquistare la carne per portarsela a casa. Segno che la qualità che offriamo è apprezzata».

Il turismo è legato a filo doppio ad una località come Auronzo. Come lo ha visto cambiare?

«Pensi che mio padre cominciava le aperture domenicali già a maggio, per finire a settembre. Oggi la stagione si è ridotta di molto e anche la modalità di vacanza è cambiata: un tempo alcune famiglie si fermavano anche due mesi d’estate. È naturalmente cambiata anche la provenienza dei turisti: tra gli anni Settanta e Ottanta c’erano tanti baresi e pugliesi, oggi molto diminuiti. Lo zoccolo duro continua a essere rappresentato da veneti ed emiliani. Anche romani, naturalmente, al seguito della Lazio».

Quale sarà il futuro della professione?

«Credo che la figura tradizionale del macellaio sia destinata a sparire. Oggi anche i supermercati fanno fatica a trovare persone specializzate per i reparti macelleria». —



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