Il ritratto di Andrea Guerra, manager internazionale

AGORDO. L’uomo che sussurrava agli elefanti, al G20 di Brisbane, è sceso dalla scaletta dell’aereo della presidenza del Consiglio subito dopo il premier Matteo Renzi e la moglie Agnese.
Riconoscibile dal suo inconfondibile maglione blu dal «collo a v» e dall’inseparabile zainetto, il fotogramma australiano non è passato inosservato agli addetti ai lavori. Andrea Guerra, innamorato dell’Italia e affascinato da Matteo Renzi, è strategico per il premier almeno per tre ragioni: conosce il mondo dell’imprese, vanta una rete di relazioni internazionali molto fitta e, non da ultimo, è amico d’infanzia del governatore del Lazio Nicola Zingaretti, che con Renzi non si prende proprio.
E per questo è indispensabile per garantire senza traumi la transizione generazionale dentro al Partito Democratico (a Zingaretti il partito, a Renzi il governo). A Brisbane il premier lo ha voluto accanto in tutti gli incontri bilaterali: da quello con il presidente russo Vladimir Putin al meeting con il presidente indonesiano. Nel viaggio di ritorno, in aereo, Renzi gli ha chiesto: «E allora, hai deciso? Mi serve una mano». Classe 1965, nato a Milano nonostante sia figlio di un principe del foro romano, laureatosi alla Sapienza di Roma, Andrea Guerra affascina per il tono di voce che non tradisce alterazioni, nemmeno nei momenti più critici: ha studiato in un liceo inglese ma ha iscritto i suoi tre figli a una scuola pubblica. Da giovanissimo è stato campione europeo di stile libero ed ha iniziato la sua carriera alla Marriot, per poi crescere dentro alla Merloni elettrodomestici di Fabriano, a partire dal 1994. Francesco Caio l’ha promosso, dopo una carriera interna, direttore generale e nel 2000 è diventato amministratore delegato.
Nel 2004 arriva in una Luxottica da 2 miliardi di fatturato e la porta a sette in meno di dieci anni, triplicando il valore delle azioni. Se ne va dopo una rottura violenta con Leonardo Del Vecchio, causata anche dalla crescente attrazione per Matteo Renzi e la nuova politica. Adesso la nomina a consigliere strategico del premier, che vuol dire – nel modello americano che ha in testa Renzi – fare l’ambasciatore del Matteo nazionale in tutto il mondo. Quasi una sorta di ministro degli Esteri ombra. Con gli elefanti, di cui ha una collezione da quasi tremila pezzi, ha una caratteristica in comune: ricorda nomi, cognomi e circostanze in maniera prodigiosa. Alla Leopolda ci è andato nel 2012 per ascoltare, nel 2013 per intervenire. A Firenze pronunciò il suo discorso più politico: «Dobbiamo essere pane ed eccellenza. Il mondo dopo il 2008 è cambiato, ma solo in Italia si chiama crisi. Per tutti si stanno aprendo delle straordinarie opportunità, il palcoscenico è il mondo». Il suo mantra è declinato in «sintonia, emozioni, ascolto, sentimenti». Con una premessa fondamentale: «cultura ed educazione» saranno il futuro dell’Italia.
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