Il Riesame decide: resta la misura cautelare

Non può tornare a fare il sindaco. Pavone: «Provvedimento giustificato, comportamenti gravi»
Di Roberta De Rossi

VENEZIA. Non è più agli arresti, Andrea Franceschi, ma non può mettere piede nella “sua” Cortina. Il che, naturalmente, gli impedirà di tornare a fare il sindaco.

Sostituzione degli arresti domiciliari con la più blanda misura cautelare del divieto di dimora a Cortina è, infatti, la decisione assunta ieri dal Tribunale del riesame di Venezia - presidente Angelo Risi - al quale gli avvocati Gaetano Pecorella e Antonio Prade avevano invece chiesto l’annullamento dell’ordinanza con la quale il gip Giorgio Cozzarini ha disposto l’arresto del sindaco, sotto inchiesta per turbativa d’asta, abuso d’ufficio e violenza privata. L’annullamento dell’ordinanza avrebbe determinato «l’immediato reintegro di Franceschi nelle sue funzioni di sindaco, perché il suo popolo lo attende», come si augurava con ottimistica enfasi l’avvocato Prade prima dell’udienza. Ora, invece, la decisione del Riesame di rendere Franceschi, sì, un uomo libero, ma di applicargli comunque la misura cautelare minore del divieto di dimora, fa scattare automaticamente anche l’applicazione del decreto legge 235 del dicembre 2012. Si tratta del testo relativo all’incandidabilità e al divieto di ricoprire cariche elettive a fronte di condanne, che all’articolo 11 prevede la sospensione dalla carica elettiva anche quando «il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale».

Le motivazioni saranno depositate a giorni, ma il mantenimento della misura cautelare conferma come - nelle valutazioni dei giudici del Riesame - abbia retto l’impianto accusatorio e sussista il rischio di reiterazione del reato e inquinamento delle prove paventato dalla Procura, se Franceschi fosse tornato nel suo incarico.

Il primo cittadino - si sa - è accusato dalla Procura di aver favorito l’imprenditore Sartori nell’aggiudicarsi nel 2011 la gara della raccolta rifiuti solidi urbani del Comune, facendo pressioni su una dirigente dei Lavori pubblici per un bando ad hoc, e di aver anche premuto sull’ex comandante dei vigili urbani Salvato, per togliere gli autovelox a ridosso delle elezioni della primavera 2012.

«Quest’ultima disposizione attiene alle prerogative di un sindaco, che aveva dato indicazioni perché si concentrassero le forze dei vigili nel contrasto degli abusi edilizi e sul fronte dei rifiuti», commenta ancora Prade, ex sindaco di Belluno, «gli si impedisce di adempiere alla funzione per la quale è stato eletto, ma lo si va sostituire dal vicesindaco, coindagato. «Sconcertante che si applichino misure cautelari a così grande distanza di tempo», insiste l’avvocato Pecorella, «ingiustificate anche a fronte delle accuse: è dimostrato che Sartori avesse chiesto un prezzo ben più alto per quell’appalto, contrastato dal sindaco».

Ieri, il procuratore Francesco Saverio Pavone - presente in sostituzione del pm Antonio Bianco, in ferie - è andato avanti dritto: «Non sono fatti vecchi, l’episodio relativo all’autovelox è del marzo 2012 ed è stato compiuto proprio nell’esercizio della funzione di sindaco, per questo la misura cautelare è giustificata: si tratta di comportamenti gravi». Pavone ha depositato anche le testimonianze di due consiglieri di minoranza, che ai magistrati hanno raccontato che “tutti sapevano” a Cortina di una lettera con la quale Sartori si impegnava a ritirarsi dalla corsa elettorale in cambio dell’appalto.

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi