Il prosecco conquista anche la provincia di Belluno

Aumentano le superfici coltivate a glera per un totale di quasi 35 ettari Il consorzio Doc: «Con i cambiamenti climatici aumenterà l’interesse»

Il prosecco conquista la provincia di Belluno

BELLUNO. Come un moderno Re Mida, il prosecco sembra essere in grado di trasformare in oro tutto quello che tocca. Porterà ricchezza anche sulle Dolomiti? Qualcuno scommette di sì: gli ettari di superfici vitate coltivate a glera sono aumentate di un terzo nel giro di due anni.

La provincia di Belluno, a due passi dalla zona che ha visto nascere e fiorire il trend del prosecco, è una goccia nel vasto mare della Denominazione di Origine Controllata. Un territorio che si estende dal mare alle montagne - per un totale oltre 23 mila ettari di vigneto - che ha prodotto nel 2016 circa 410 milioni di bottiglie.

Le aziende inserite nel sistema di controllo Prosecco Doc con sede in provincia di Belluno sono 32. Quasi tutte si occupano solo della coltivazione delle viti: 31 sono esclusivamente viticoltori e conferiscono o vendono le proprie uve ad altre cantine, soprattutto fuori provincia. Un’azienda si occupa di tutte le fasi produttive, dalla vinificazione all’imbottigliamento.

Una piccola nicchia, rispetto alla vastità del comparto prosecco: i viticoltori nell’area Doc (che comprende, oltre a Belluno, le province di Treviso, Vicenza, Padova, Venezia, Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste) sono 11.593: il Bellunese incide solo per lo 0,2%, una percentuale che cala ulteriormente nel caso dei vinificatori (1.231 in totale). Inoltre diverse aziende hanno sede in provincia di Belluno, ma solo come ragione sociale: i vigneti, in realtà, si trovano altrove, ad esempio in provincia di Treviso.

Più del numero delle aziende presenti nel Bellunese, sono gli ettari dedicati alla coltivazione di uve da prosecco a fornire una panoramica della situazione. Per quanto piccola, se confrontata con l’intera area Doc, il prosecco è una realtà in crescita per la provincia dolomitica.

Al 31 luglio 2016, data che chiude la campagna viticola e a cui si fa riferimento per il conteggio degli ettari, sono presenti in provincia di Belluno 34,26 ettari di glera idonea a prosecco Doc. A questi si può aggiungere il 15% dei vitigni complementari (verdiso, bianchetta trevigiana, perera, glera lunga, chardonnay, pinot bianco, grigio e nero, vinificato in bianco): nel Bellunese questi vitigni occupano 5,14 ettari per un totale di superficie adatta a produrre prosecco Doc di 39,4 ettari. Si trovano tra Valbelluna e Feltrino, le zone più idonee alla viticoltura.

Negli anni la varietà glera ha guadagnato terreno, nel vero senso della parola: secondo i dati dell’Avepa nel 2014 gli ettari dedicati a questo vitigno erano 25,56, con una crescita del 34% in due anni. Gli ettari di chardonnay sono poco più di 16, quelli di pinot grigio 9,43, quelli di merlot 3. Non arrivano all’ettaro i cabernet sauvignon e franc.

Nonostante la crescita importante di alcune varietà, il glera è la prima produzione vinicola della provincia con una superficie pari allo 0,14% della produzione complessiva di prosecco Doc. Da quando, dal 2011, il consorzio ha attuato il “blocco delle rivendiche” non è possibile creare nuovi impianti di glera destinati alla produzione di prosecco Doc. È tuttavia possibile spostare vigneti all’interno della zona del consorzio per ragioni logistiche e qualitative.

«Ampie parti di territori alpini, penso in particolare a Trento e Bolzano, hanno trovato ottimi equilibri con la viticoltura» commenta Luca Giavi, direttore del Consorzio di tutela della Denominazione di Origine Controllata Prosecco, «Belluno fino a questo momento ha visto privilegiare la pianura ma non stento a credere che, come conseguenza dei cambiamenti climatici in atto, in futuro non possa esserci interesse. Le varietà da prosecco in questo momento sono economicamente più convenienti rispetto ad altri tipi di impianto».

Non sempre, però, le motivazioni economiche sono sufficienti e in passato è successo che gli impianti di glera provocassero qualche malumore tra le popolazioni del territorio bellunese. Un contesto - unito alla presenza di appezzamenti molto frazionati - che rischia di frenare gli investimenti.

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Dalle colline del prosecco Docg alla Valbelluna. Bernardo Piazza, viticoltore di Vidor, ha deciso di investire in provincia di Belluno. E non se ne pente. «Sono un pioniere» spiega, «nel periodo in cui si poteva impiantare glera per la produzione di prosecco Doc ho scelto di puntare su questa valle per le sue caratteristiche geografiche: è una vallata che si snoda sull’asse est-ovest, ha un clima fresco. L’escursione termica presente in questo territorio ci sta dando frutti dalle proprietà organolettiche uniche».

Piazza ha piantato due vigneti in Valbelluna: uno si trova a Limana, la tenuta Centore, l’altra è a Trichiana, a Casteldardo. La prima, la più vecchia, ha già iniziato a produrre prosecco. «È un prodotto che ci permette di studiare le proprietà delle uve coltivate in questa valle» continua Piazza, «da quello che possiamo vedere fino ad ora si tratta di un vino dai sentori floreali, a differenza di quello prodotto a Valdobbiadene che ha un aroma fruttato. Inoltre è molto più minerale. Sono caratteristiche che, a mio parere, derivano dalla verginità della terra bellunese. È ancora presto per definire con esattezza la qualità del prosecco prodotto con i vitigni bellunesi ma io, nonostante le difficoltà incontrate in questi anni, ci credo».

Secondo Piazza il futuro della viticultura bellunese non passa tanto per il prosecco quanto per i vitigni autoctoni e per quelli aromatici. «Hanno qualità uniche» aggiunge. L’altro aspetto sul quale puntare, ormai un leit-motiv della viticultura veneta, è quello della sostenibilità ambientale. «È un obiettivo che stiamo perseguendo tutti insieme» spiega, «cercando di diminuire l’impatto ambientale con un uso attento e corretto dei fitosanitari». Un argomento caro alla comunità bellunese, molto attenta alla salvaguardia dell’ambiente che rende unica la provincia dolomitica.

I vigneti a Casteldardo, Trichiana
I vigneti a Casteldardo, Trichiana

Non solo prosecco. C’è chi decide di scommettere sui vitigni locali, quelli che un tempo venivano coltivati nel Feltrino. Un patrimonio dimenticato lasciato in eredità da un passato in cui ogni famiglia aveva un suo piccolo appezzamento di terra usato per coltivare ortaggi, frutta e uva da vino.

«La nostra azienda punta sul recupero dei vitigni locali dei nostri avi» spiega Marco De Bacco, «siamo partiti da subito con quest’idea e non l’abbiamo mai cambiata». Pavana, bianchetta, gata. Nomi che richiamano all’antica tradizione della viticultura nel Feltrino. I fratelli De Bacco decidono di unire il sapere del passato con le moderne conoscenze in campo enologico. Nasce così Saca, uno spumante con le sole uve bianchetta, o il Vanduja, rosso nato dall’unione di pavana e trevisana nera. 

«Da quest’anno produrremo anche uno spumante rosè» continua De Bacco, «ci crediamo molto». Un solco, quello dei vitigni tradizionali, che ha trovato i suoi estimatori. «Il mercato risponde bene» continua l’imprenditore, «lavoriamo bene in provincia di Belluno ma il nostro rimane un prodotto di nicchia».

Sul futuro della viticoltura bellunese, per lo meno per la zona del Feltrino, De Bacco ha le idee chiare. «Abbiamo creato un consorzio dedicato ai vini del Feltrino» spiega, «che comprende l’area della viticultura storica di Feltre, Fonzaso e Arsiè: è una storia che inizia nel 1500». Il “Consorzio coste del Feltrino”, che ha recentemente nominato il nuovo presidente Enzo Guarnieri, detta regole molto precise sulle varietà che possono essere prodotte e sul luogo di coltivazione dei vigneti. L’obiettivo è arrivare ad una denominazione. «La forza del prosecco è di aver saputo fare squadra» commenta De Bacco, «gli appezzamenti nel Feltrino sono piccoli, per noi è importante creare un consorzio e puntare sulla qualità dei nostri prodotti».

Una possibilità interessante, se sfruttata secondo regole che garantiscano una convivenza “pacifica”. Le associazioni di categoria guardano con favore allo sviluppo della viticultura tra Valbelluna e Feltrino. «Al momento il clima non è ottimale» commenta Roberto Fugazza, direttore della sezione provinciale della Conferazione Italiana Agricoltori, «in provincia sono aumentati gli ettari di superfici vitate e il fenomeno non riguarda solo il glera. Si punta anche su altre varietà, in particolar modo quelle resistenti. La cosa importante, per il territorio bellunese, è che si crei un clima di convivenza e non di reciproca diffidenza. Il vigneto in provincia di Belluno è una possibilità e va valutato ma non bisogna trasformare la Valbelluna in una monocultura. Secondo me la strada è quella delle coltivazioni biologiche o comunque con criteri sostenibili. La direzione è quella, e porterà un vantaggio anche per i territori».
 
Anche Silvano Dal Paos, presidente della Coldiretti bellunese, suggerisce un uso minimo dei trattamenti, quasi biologico. E, nonostante guardi alla viticultura come ad una possibilità interessante per i giovani, consiglia di diversificare le coltivazioni, almeno in un primo periodo. «Ben venga il prosecco, se coltivato dai bellunesi» spiega, «negli ultimi anni vedo un grande ritorno dei giovani all’agricoltura, ne sono sbalordito. Si tratta di ragazzi diplomati o laureati che scelgono di investire sulla terra bellunese. A loro dedichiamo un corso di “primo insediamento” dove insegniamo le basi dell’agricoltura. Mentre nel campo della viticultura abbiamo un funzionario formato sul tema».
 
Secondo Dal Paos «non tutta la provincia di Belluno è adatta alla coltivazione delle viti». Oltre al fattore climatico, le difficoltà nascono anche da fatto che gli appezzamenti sono molti frazionati e spesso in pendenza, condizione che rende difficile l’utilizzo di molti macchinari. «La condizione ideale per questa provincia è il biologico» spiega, «spesso l’agricoltore è più sensibile del consumatore». Il presidente Coldiretti frena però l’entusiasmo. «La viticultura un tempo era principalmente una coltivazione per autoconsumo o di completamento. Per il futuro potrebbe essere un’attività interessante ma suggerisco, almeno all’inizio, di fare un po’ tutto perché il prosecco inizialmente non rende». 
Una mano tesa verso le popolazioni residenti e i consumatori. Il consorzio Prosecco Doc ha deciso di eliminare Glifosate, Folpet e Mancozeb dal vademecum viticolo 2017, uno strumento che l’ente mette a disposizione dei viticoltori per districarsi tra mezzi e metodi per la produzione agroalimentare. «Queste molecole, ancorché ammesse dalla normativa vigente, sembrano essere diventate fonte di preoccupazione sia per le popolazioni residenti che per i consumatori» spiega Stefano Zanette, presidente del consorzio, «mi impegno affinché il divieto all’utilizzo di questi principi attivi risulti cogente, ovvero obbligatorio per tutti i produttori della nostra Denominazione».
 
Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc
Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc
 
La decisione punta ad un maggiore dialogo con il territorio e le popolazioni residenti. «Contiamo di giungere nel più breve tempo possibile ad una certificazione che attesti dapprima la sostenibilità del prodotto, quindi dell’intera denominazione Prosecco» spiega in una nota il consorzio, «ciò avverrà mediante un sistema di gestione che non si limiti alle buone pratiche agricole (comprendendo anche il biologico e la lotta integrata) ma includa anche le buone pratiche socio-economiche. Si tratta di un modello capace di favorire il confronto con le comunità locali, al fine di promuovere e far meglio comprendere l’importanza delle operazioni di sostenibilità, adottate in un’ottica di miglioramento continuo».
 
Una svolta green che potrebbe aiutare le relazioni tra coltivatori e popolazioni residenti. Un rapporto già stretto, dato che per molti bellunesi vigneto uguale prosecco. Secondo un’indagine condotta da Swg il 56% dei bellunesi intervistati quando vede un vigneto nella sua provincia pensa sia destinato al Prosecco, solo il 15% pensa sia coltivato alla denominazione geografica Piave. Per il 48% degli intervistati la produzione di vino prosecco è molto importante per l’immagine del territorio, percentuale che scende al 22% se si parla di sviluppo. La maggior parte degli intervistati pensa infatti che produrre prosecco incida abbastanza (42%) o poco (30%) sullo sviluppo del Bellunese.

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