Il progetto Unesco in salsa ristretta

Si riduce da ventidue a quattordici il numero dei sistemi dolomitici. «Poca wilderness e troppe strade impianti e rifugi»
BELLUNO. Il progetto Unesco «Dolomiti patrimonio dell’umanità» sta arriva alla «stretta» finale. Entro il 28 febbraio le Province interessate (Belluno, Bolzano, Trento, Udine e Pordenone, con Belluno a fare da capofila) dovevano mandare le loro risposte alle osservazioni dell’Iucn (International Union for Conservation of Nature, un organismo scientifico incaricato dall’Unesco di seguire il progetto) in merito alla ridefinizione dei siti da tutelare proposti inizialmente. Le sorprese non sono mancate. I siti sono stati ridotti di numero. Inizialmente i sistemi dolomitici individuati erano 22, su tutte le Dolomiti, ma molti di essi comprendevano dei «sotto-sistemi», e quindi il numero complessivo era ben più alto. Ora in Friuli da tre sono passati a uno, in Trentino da 22 a 13, in provincia di Belluno da 27 a 14.


Attenzione: non sempre la riduzione di numero equivale a una riduzione di superficie. In alcuni casi, come per le Dolomiti friulane, i tre «cuori» (così sono definiti nel documento i nuclei centrali) sono stati accorpati in uno soltanto. La stessa cosa è accaduta per le Dolomiti Bellunesi, il territorio del Parco nazionale: erano stati individuati tre «nuclei» (Vette Feltrine, Cimonega-Erera Brendol, Schiara-Talvena) che ora sono diventati un «cuore» unico. In altri casi, invece, come per le Cinque Torri, si è trattato dell’eliminazione di «siti puntuali». Oppure, come per le Piccole Dolomiti in Trentino, l’Unesco ha chiesto di toglierle per ragioni geologiche. La filosofia iniziale era di considerare le Dolomiti un «bene seriale», cioè non un bene unico ma un insieme costituito da siti di eccellenza (i «cuori») non sempre contigui. Inoltre, raggruppare diversi siti in un numero minore di grandi «cuori», secondo l’Unesco, si era rivelato necessario per raggiungere le dimensioni richieste dai requisiti per la candidatura. Una questione, insomma, di quantità oltre che di qualità. «Per arrivare a una lista definitiva», conferma l’assessore all’ambiente della Provincia di Trento, Mauro Gilmozzi, «sono stati chiesti integrazioni e nuove perizie. Siamo ancora in una fase interlocutoria».


Ma è già certo che, per quanto riguarda il Friuli, verranno tolti il monte Bivera e le Dolomiti Pesarine (e di Sappada), mentre è stata «ritagliata» un’unica sub-area interna al Parco Dolomiti Friulane. Il «cuore» così individuato prevede poi una «zona tampone», una specie di pre-zona. Si chiedeva di ridurre il numero dei «beni» candidati ad entrare nel progetto lasciando quelli che hanno un’estensione più consistente, oltre a valenze ambientali, paesaggistiche e geologiche più marcate. Sono così rimasti i sistemi Civetta-Moiazza, Pelmo-Nuvolau, Set Sass, Marmolada, Pale di San Martino-San Lucano, Dolomiti Bellunesi, Dolomiti Cadorine, Dolomiti Friulane, Cadini, Dolomiti di Sesto e Tre Cime, Dolomiti Ampezzane con Fanes, Senes e Braies, Puez Odle, Rio delle Foglie e Dolomiti di Brenta. Tolti Cristallo, Piccole Dolomiti, monte Corno e altri siti, mentre Sciliar, Catinaccio e Latemar, che prima erano due diversi sistemi, sono stati accorpati. Non in tutti i casi è bastata l’eccezionale spettacolarità dei grandi sistemi dolomitici. A pesare sul parere della commissione mandata dall’Iucn sulle Dolomiti nel settembre scorso pare sia stata anche la valutazione del grado di «antropizzazione» e di sfruttamento del territorio.


Soprattutto in Trentino ci sarebbero troppe strade, troppi rifugi, troppi impianti. E troppa poca «wilderness», ovvero «selvaggità». L’«integrità», in alcuni casi, è andata a farsi friggere. Le Dolomiti Friulane, al contrario, proprio perché non «vocate» a un turismo di massa (soprattutto invernale) e non intensamente sfruttate come gli altri territori, diventano, secondo i criteri di valutazione dell’Unesco, punti di forza dell’intero progetto. L’Unesco infatti aveva indicato criteri di «unicità e integrità» come requisiti irrinunciabili per le aree da inserire: per alcuni dei territori indicati l’«integrità» è ormai più o meno un bel ricordo.

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