Il primario di Cardiologia va in pensione: «Ora serve un reparto di riabilitazione»

L’intervista
Paola dall’anese
A quattro anni dal suo arrivo al San Martino di Belluno, il 31 dicembre il direttore dell’unità operativa di Cardiologia, Enrico Franceschini Grisolia, andrà in pensione, a 63 anni. Quattro anni impegnativi in cui molte cose sono cambiate nel reparto.
Dottor Franceschini, lei era stato assunto per avviare l’Emodinamica al San Martino. Quattro anni dopo provi a tracciare il bilancio del suo mandato...
«Posso dire che l’incarico assegnatomi è stato assolto e il bilancio è positivo. Prima del mio arrivo l’Emodinamica funzionava cinque giorni a settimana dalle 8 alle 17. Il primo giugno 2014, qualche mese dopo la mia assunzione, è stata attivata sulle 12 ore e dal primo dicembre 2015 funziona h 24 sette giorni su sette. E questo grazie alla presenza di quattro emodinamisti, di cui anch’io faccio parte. Anche l’attività è raddoppiata. Le angioplastiche sono passate dalle 415 del 2013 alle 519 del 2017, e quelle su infarto sono passate da 53 a 130, con un aumento del 145%. Anche le coronarografie sono salite da 843 a 1.039, con un incremento del 23%, e l’attività di misurazione del flusso coronarico è passata da 24 a 62 (+158%), mettendoci al pari con la media nazionale di queste pratiche. E questo è possibile soltanto grazie all’alta specializzazione del personale che vi opera, compreso anche quello infermieristico».
A parte l’Emodinamica, le altre attività del reparto come sono cambiate?
«Ho provveduto a rinnovare il metodo di lavoro della Cardiologia, passando da un lavoro analitico a uno di precisione o personalizzato, tagliato sul singolo paziente. Di fronte all’aumento della popolazione anziana, dobbiamo poter curare meglio i pazienti, facendo ricorso alle tecnologie che abbiamo a disposizione, anche se dobbiamo fare i conti con risorse sempre più risicate».
La carenza di medici via ha ostacolato?
«Per fortuna, nel mio reparto non siamo in sofferenza, visto che il turn over è stato sempre rispettato. Ad oggi i medici sono 17: 16 a Belluno e uno a Pieve di Cadore. Proprio in Cadore, il collega viene quotidianamente affiancato da un cardiologo di Belluno, mentre un altro professionista si reca ad Agordo due volte al mese, il martedì. Cinquantadue sono gli infermieri e 14 i posti letto di Cardiologia, due nel day hospital, cinque di terapia intensiva e quattro di terapia post intensiva. Tre le sedi ambulatoriali: eseguono 38.088 prestazioni».
Come siete messi con le liste di attesa, visto l’incremento delle patologie cardiache per l’aumento dell’età della popolazione?
«Siamo migliorati moltissimo. Se nel 2013 le prescrizioni di visita a 10 giorni venivano rispettate per l’89%, ora siamo al 97,11%. Migliorati i tempi anche per le prescrizioni a 180 giorni: per questi siamo riusciti a dare una risposta entro 90 giorni nel 94% dei casi».
Cosa manca all’unità operativa per essere al top?
«Servirebbe portare tutta l’attività sullo stesso piano e non dividerla come ora tra il piano primo e il quinto. Ma soprattutto servirebbe una struttura riabilitativa cardiologica sia degenziale che ambulatoriale. Attualmente l’unica ambulatoriale è a Feltre, visto che quella di Cortina è stata chiusa. In assenza di questa, siamo costretti ad allungare le degenze qui o in Lunga degenza o negli ospedali di comunità. Dovremmo sempre più pensare a incrementare la telecardiologia per il controllo via web dei pazienti che utilizzano pacemaker. Inoltre, considerando appunto l’aumento dei pazienti nel prossimo futuro, sarebbe auspicabile pensare a un maggiore coinvolgimento dei cardiologi nel territorio. Mi riferisco alla nostra presenza nelle medicine di gruppo integrate per evitare l’ospedalizzazione del paziente». —
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