Il gestore di Capanna Penia: «Fra vent’anni il ghiacciaio della Marmolada non esisterà più»

Aurelio Soraruf gestisce dal 2004 Capanna Penia ed è preoccupato per i cambiamenti climatici: «Ogni anno si consuma sempre più. In molti punti al posto del ghiaccio ci sono già i fiori»

ROCCA PIETORE

Ai 3.343 metri di Punta Penia crescono i fiori. Lassù dove il ghiaccio libera dei fazzoletti di roccia. «Sono alti non più di un centimetro. Bellissimi. Color turchese. Sono evidentemente l’effetto delle alte temperature di quest’estate», conferma Aurelio Soraruf, che con Claudio Budel gestisce Capanna Penia e ai piedi del ghiacciaio conduce il rifugio Castiglioni.

Con la laurea in architettura e la passione per l’ambiente, Soraruf ha deciso fin da bambino di votarsi alla “regina delle Dolomiti”. «Da decenni accarezzo il polso, ogni giorno, della Marmolada e constato che lentamente si va consumando».

Quando è salito per la prima volta sulla vetta di questa montagna?

«Avevo 9 anni. Mi accompagnò lassù mio fratello che ne aveva 15. Salimmo con i ramponi, la picozza e la corda. Ricordo che il ghiaccio a Punta Penia era alto 23 metri sopra la capanna».

Che anno era?

«Il 1963. Nel 2004 ho assunto la gestione del rifugio e della capanna. Lassù la calotta era ancora 7 metri più alta del tetto. Oggi l’intero edificio è scoperto».

Che cosa accadrà se le temperature si alzeranno di 2 gradi?

«Un anno fa in rifugio abbiamo organizzato un summit di glaciologi e di geologi. Per il nostro ghiacciaio è stata annunciata purtroppo una sentenza di morte: col trend in atto, fra vent’anni, non esisterà più».

Di quanto si sta ritirando ogni anno alla base?

«Anche di 10-15 metri. In alcuni anni addirittura di 25. Le precipitazioni nevose non mancano, ma il forte vento, come quello di questi giorni spazza via tutta la neve. Ricordo che negli anni ’70, le scuole estive di sci portavano gli allievi in escursione dentro i seracchi, che erano alti fino a 40 metri e sembravano delle straordinarie cattedrali di ghiaccio. Adesso non ci sono più».

La diga di Passo Fedaia è in crisi?

«No, proprio il contrario. È strapiena, per cui vuol dire che il ghiacciaio si sta inesorabilmente sciogliendo».

Quando accende il riscaldamento al rifugio Castiglioni?

«Lo abbiamo attivato anche in agosto. Quassù la neve è permanente da fine ottobre a metà maggio, quindi dobbiamo riscaldare permanentemente. Abbiamo un impianto a vapore molto risparmioso, ma la spesa è di un terzo più alta che in pianura. Le mura sono spesse 90 centimetri, le stanze sono rivestite in legno, le grandi vetrate permettono al sole di riscaldare almeno due ore al giorno».

Come sarà la Marmolada senza il ghiacciaio?

«Resterà sempre la nostra “regina”, il più bel gruppo delle Dolomiti. Manterrà il suo fascino per la straordinarietà della parete sud, ma anche per la “schiena” a nord. Da qui è anche facile salire, ovviamente con tutte le attenzioni del caso. Per esempio il ghiacciaio già oggi lascia liberi dei percorsi di arrampicata sulla roccia, ma se c’è neve, il vento prepotente la sospinge fino su questi sassi e la salita diventa impossibile».

Senza questo serbatoio d’acqua ne risentirà anche la pianura.

«Sì. La diga e quindi la Marmolada danno acqua soprattutto al Piave. Lo constatiamo nei periodi di irrigazione dell’agricoltura. Gli effetti dell’innalzamento della temperatura non sono soltanto quei fiorellini spuntati a Punta Penia, ma anche un progressivo prosciugamento di questo ghiacciaio che non riesce proprio a stabilizzarsi, neppure quando le nevicate sono abbondanti, come l’anno scorso o nel 2014». —


 

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi