Il boscaiolo morto in Primiero lavorava al posto del cognato

Nel processo all’impresario rocchesano Riccardo Sorarù la sorella di Vitali Mardari ha rivelato un particolare che potrebbe essere decisivo
Gigi Sosso

santa giustina

L’appuntamento con il destino. Nella prima udienza del processo per omicidio colposo aggravato a carico dell’impresario boschivo di Rocca Pietore, Riccardo Sorarù, è emersa una verità terribile. Ludmila Mardari, la sorella del boscaiolo morto Vitali, ha detto al tribunale di Trento che la mattina di quel 19 novembre di tre anni fa, nel bosco di Sagron Mis (Primiero), avrebbe dovuto andarci il marito e non il fratello, che perderà la vita, colpito da un cavo d’acciaio, durante l’allestimento di una teleferica. Vitali Mardari non aveva alcun rapporto di lavoro con Sorarù.

Gli avrebbe fatto un favore, affinché le operazioni potessero proseguire a pieno organico, cosa che sarebbe abbastanza frequente, nel mondo dei lavori nei boschi. Soprattutto in quelli schiantati dalla tempesta Vaia dell’ottobre 2018, come in Val delle Moneghe. Vitali Mardarui non poteva nemmeno dire di essere molto esperto, sicuramente non era stato formato da Sorarù, dal momento che non era un suo dipendente. Era un ragazzo di origine moldava trapiantato a Santa Giustina, che aveva bisogno di lavorare e guadagnare qualcosa, in un momento difficile e non poteva immaginare che quel giorno non sarebbe tornato a casa. Quel cavo, che si era spezzato, l’ha colpito in pieno, sbalzandolo a qualche decina di metri di distanza dal punto d’impatto. I due difensori dell’imputato, Frapiccini e Valenti hanno potuto sentire proprio quello che volevano.

Nel corso degli accertamenti da parte dei carabinieri della stazione di Cavalese, erano riusciti a far archiviare la seconda ipotesi di reato: quella di depistaggio. La Procura trentina aveva ipotizzato che Sorarù avesse spostato il cadavere dei Mardari, con l’aiuto di un’altra persona che non era stata individuata e di averlo ricoperto di rami. Ci sarebbero stati dei segni sul terreno, che avrebbero fatto pensare a un inquinamento della scena del delitto, ma a questo non sono stati trovati riscontri e l’accusa è caduta. C’è soltanto l’omicidio colposo, aggravato dalla mancata osservanza delle norme per la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Rimangono da ascoltare gli ultimi due testimoni della pubblica accusa, dopo di che sarà la volta dei cinque citati dalla difesa. Alcuni erano in comune e hanno già fatto le proprie dichiarazioni, interrogate da entrambe le parti. La fase istruttoria dovrebbe completarsi entro il 26 ottobre e ci potrebbe essere spazio anche per la discussione. Se non addirittura per la sentenza.

La famiglia Mardari si è costituita parte civile con il legale trentino Mair e, quando sarà il momento, chiederà un risarcimento danni. —



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