I ravanelli crescono a scuola
Erica Moret promuove il progetto voluto da Slow Food "Orto in condotta"

In principio ci fu Nenz, il giardiniere. E un'epoca di ravanelli, prezzemolo e insalatine vendute di classe in classe. La "Gabelli" era una gloriosa scuola sperimentale, e i suoi scolari una cosa dovevano fare: imparare. Non solo la a con l'acca, ma anche come si dialoga con Madre Natura: andando a conoscere gli alberi e i cespugli nel giardino della scuola (ognuno con il suo bel cartellino verniciato di giallo e il nome e cognome della pianta corrispettiva scritto sopra); e spendendo qualche ora della propria vita ad accudire l'orto della "Gabelli" in tutte le sue manifestazioni. E che fortuna, anche quando il buon Nenz (generazioni di ex scolari bellunesi hanno scritto almeno un pensierino su di lui) se ne andò in pensione, vedere la storia dell'orto continuata dalle mani di una maestra piccola ed energica, con i capelli bianchi e l'aria battagliera: perchè imparare il sapore di un ravanello, dopo che te lo sei coltivato e annaffiato e tirato su con le radici e tutto, è ben un'altra storia rispetto a vedertelo servito pronto e condito con (l'odiata) insalatina in tavola. Era una cosa che si sapeva bene, questa, una volta: che ai bambini va insegnata la a con l'acca, ma anche a capire da dove viene quello di cui ci nutriamo. Quando è successo che tutto questo si è perso di vista, non si sa bene. Si sa solo che adesso i ravanelli si comprano già plastificati al supermercato, e che il giardino della scuola elementare "Gabelli" - dopo decenni di grembiulini urlanti - se ne sta infine muto, insieme alle vernici scolorate dei cartellini. Nessuno parla più con i suoi alberi. A provare a riportare il dialogo è Erica Moret, che per Slow Food sta provando a mettere in piedi anche a Belluno il progetto "Orto in condotta".
Quale è l'obiettivo di questo progetto?
«Rifare una rete di orti scolastici in Valbelluna. Il che significa coinvolgere Comuni, scuole, famiglie e aziende. Il Manifesto per l'educazione che Slow Food ha steso di recente si esprime perfettamente in questo progetto: l'educazione insegna il valore della lentezza, e quindi il rispetto dei propri ritmi e di quelli degli altri; è imparare facendo, perchè l'esperienza diretta alimenta e rafforza l'apprendimento; stimola curiosità; si nutre del contesto in cui è situata: e così valorizza memoria, saperi e culture locali. La creazione di un orto scolastico passa esattamente attraverso tutti questi punti».
C'è già stato qualche esperimento, in proposito, nelle scuole bellunesi?
«Sì, ma qui di diverso c'è la prospettiva nel tempo. "Orto in condotta" è un progetto triennale, e passa attraverso il coinvolgimento di diversi soggetti: dalle amministrazioni comunali ai ristoranti, per dare un'idea delle estremità».
Perchè i Comuni?
«I giardini delle scuole sono di proprietà dei comuni: occorre sottoscrivere un protocollo di intesa prima di cominciare. E' un peccato che alcuni progetti, pur buoni, siano naufragati. Il problema principale, per far funzionare il tutto, sta proprio nella prospettiva e nel coinvolgimento di tutti: non posso fare un orto se non ho l'acqua, per esempio. In più, serve un finanziamento per formare gli insegnanti (Slow Food fa un corso riconosciuto dal Miur), per individuare i nonni ortolani che si facciano carico degli orti durante l'estate, quando le scuole sono chiuse».
Appunto questo potrebbe essere un ostacolo: la scuola ha tempi diversi rispetto alla natura...
«In realtà dipende dalle scelte. E si tratta solo di programmare bene. Ci sono verdure che a maggio sono mature. Ma, per esempio, sappiamo di grandi soddisfazioni date dalle patate: seminate prima della fine della scuola, sono pronte quando gli studenti ci tornano. In Olanda ci sono addirittura gare di patate tra le scuole olandesi».
Per i bambini cosa significa partecipare all'orto?
«Vuol dire far crescere la loro attenzione nei confronti del territorio, dell'alimentazione, dei gusti. E qui tornano ancora i Comuni, perchè potrebbero favorire nelle mense scolastiche il consumo dei prodotti degli orti delle scuole stesse».
E gli altri soggetti?
«Si va da produttori a ristoratori locali, ma anche a realtà territoriali come parchi, associazioni, aziende agricole: tutto il tessuto della provincia diventerebbe oggetto di studio, confronto, conoscenza per gli studenti».
C'è già chi si è mosso?
«Alcuni comuni. Non è un progetto dispendioso: ma potrebbe permettere una coscienza diversa da parte degli studenti della realtà in cui vivono. Serve crederci».
Ma l'orto potrebbe tornare alla "Gabelli"?
«Ho fatto delle proposte in questo senso: lì la terra c'è già, e il giardino è prezioso, ma ora in disuso. Farlo rivivere sarebbe sfruttare una risorsa della città storicamente importante».
Chi vuole informazioni che deve fare?
«Scrivere a slowfood.bl@gmail.com».
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