Guarnieri-Dal Fabbro una tesi sull'amicizia tra i due scrittori

In alto un giovane Beniamino Dal Fabbro A sinistra Silvio Guarnieri
In alto un giovane Beniamino Dal Fabbro A sinistra Silvio Guarnieri
A Beniamino Belluno va stretta. Non ne ha mai fatto un mistero, e, appena può, prende il volo verso Milano. Silvio, che ha con lui un rapporto quasi paterno, gli scrive lettere piene di affetto, combattuto tra le necessità del lavoro e il desiderio soffocante di dedicarsi alla scrittura. Poi c'è Flavio, che a Belluno ci è rimasto: con un impiego solido, una voglia di scrivere poesia che per lo più gli resta dentro la penna, e una vena agra nei confronti della provincia che lo tiene ancorato.  Beniamino, Silvio e Flavio sono tre giovani laureati in Giurisprudenza: hanno frequentato il liceo classico "Tiziano", hanno tutti dei sogni, vivono Belluno così come la vivono - e l'hanno vissuta - generazioni di giovani.  E' ancora più interessante, quindi, - se il Beniamino fa Dal Fabbro di cognome, e Silvio è Silvio Guarnieri - scoprire come a distanza di ottant'anni non si sposti di una virgola il rapporto tra la nostra cittadina e i cervelli che la vivono: neppure se i cervelli sono quelli di due intellettuali che hanno saputo essere protagonisti del loro tempo. Chi resta, chi va, chi resta e vorrebbe andare: nel carteggio oggetto della tesi di laurea di Matilde Biondi, che costituisce la trama dell'articolo di apertura dell'ultimo numero dell'Archivio Storico di Belluno Feltre e Cadore, la vita, l'amicizia e la carriera dei due scrittori è una sorta di paradigma dei rapporti con la città e con il suo tessuto culturale.  La "multilustre amicizia" tra i due, del resto, si intreccia fittamente anche a quelli che sono i nomi della letteratura italiana (e non solo) di tutto il primo Novecento: Quasimodo, Gatto, Vittorini compaiono nei testi delle lettere che Dal Fabbro e Guarnieri si scrivono attraverso la lente dei loro rapporti personali. E così il carteggio (che continua in varia misura dal 1932 al 1972) assume una tridimensionalità preziosa: non solo per capire la società e i rapporti attraversati dalle vite di questi due scrittori e studiosi, ma anche come una sorta di radiografia emozionale di ciascuno.  Sono intellettuali, ma in pantofole: tra di loro parlano la lingua intima che solo le amicizie longeve, cresciute insieme alle età anagrafiche, riescono a parlare. E i loro caratteri emergono senza paraventi: quello di Dal Fabbro non facile, schietto, critico, combattivo e non di rado pessimista. Quello di Guarnieri pacato, lucido, sempre velatamente fiducioso, benchè amaro di fronte all'accoglienza fatta dalla critica nei confronti del suo libro. C'è tutta la polemica contro la cultura chiusa nelle mani dei soliti (Montale e Bo), nelle lettere di Dal Fabbro. Dall'altra parte, c'è la memoria degli sforzi compiuti da Guarnieri per «rompere il gelo e l'assenza provinciale» con mostre e cataloghi. E poi, i giudizi per le opere dell'uno e dell'altro, le ansie, gli entusiasmi, le speranze.  «Io desidero tanto ricevere una di quelle tue lunghe lettere in inchiostro violetto piegate stranamente», scrive Guarnieri a Dal Fabbro, e nei momenti lunghi di silenzio è l'amico di sempre, Flavio Dalle Mule, avvocato, a tenere i legami tra i due fornendo notizie dell'uno all'altro.  Convogliate nella tesi di dottorato per l'Università di Firenze, le lettere studiate da Matilde Biondi sono, nell'Archivio Storico di Belluno Feltre e Cadore, la base di un articolo che offre uno sguardo sulla vita dei due scrittori bellunesi prezioso e inedito: uno sguardo che continua ininterrotto fino all'inizio degli anni Settanta, ben due decenni prima della scomparsa dei due. In questo lasco di tempo i rapporti tra i due - che, fino a quel momento si erano mutuamente aiutati - sembrano interrompersi, così come si interrompe il loro vivido carteggio epistolare.

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