Giochi mai visti prima per San Nicolò nei ricordi dei bambini

LONGARONE. C'è una foto, tra le tante foto del Vajont. Pare la scena di un film. Una decina di bambini scorrazza su quel che resta della chiesa di Longarone, pedalando a bordo di tricicli e go-kart. Ai lati della “pista”, qualche mamma, un paio di automobili, altri ragazzini. Attorno a loro, solo macerie. C'è un'immagine capace di raccontare il dopo Vajont meglio di questa?
La foto dei go-kart venne scattata nel dicembre del '63. Tempo di san Nicolò: certo nessun genitore di Longarone era in grado di occuparsi di san Nicolò, a nemmeno tre mesi dal disastro. Al loro posto, ci pensarono Epoca e Topolino. Subito dopo il Vajont, diversi giornali italiani avevano promosso raccolte fondi per i sopravvissuti bellunesi.
Le due riviste Mondadori salirono a Longarone il 9 dicembre con un camion di dolci e giocattoli (della ditta Giordani di Bologna) per i bambini delle elementari – ne erano rimasti 34 su 200 – e per i più piccoli: tricicli, go-kart, panettoni, Topolini, libri, due numeri dell'Enciclopedia dei ragazzi. C'erano anche carrozzine per le mamme e regali per chi si trovava ancora in ospedale, a Belluno o in Cadore. La foto venne scattata poco dopo la consegna dei pacchi, quando i bambini si misero a pedalare sul pavimento della vecchia chiesa. Le campane appoggiate ai lati dell'abside erano state ritrovate da poco lungo il Piave.
I bambini della foto sono diventati grandi, nel frattempo. Allora facevano la terza, la quarta, la quinta elementare: oggi hanno quasi 60 anni.
«Si andava spesso a giocare lì – ricorda Marco Sacchet, che nel '63 aveva nove anni – perché era l'unica superficie pulita: le strade tracciate subito dopo il disastro erano tutte sterrate. Quanto li abbiamo usati, quei go-kart! Nella foto non si vede, ma davanti avevano una banda rossa con il numero». Marco Sacchet abitava a Pians, nell'unica zona di Longarone che si era salvata dall'onda. Quasi tutti i sopravvissuti al Vajont abitavano a Pians: e così, gran parte dei bambini della foto. «Scendevamo giù dalla stradina di Pians velocissimi – racconta Gastone Amadio – senza quasi frenare: una volta mi sono infilato sotto una macchina, che per fortuna era parcheggiata giù in fondo...».
«...poi c'è quella volta che giocavo con mio fratello Loris – Valter Caruzzo faceva la quarta elementare e guidava un go-kart, il fratellino era ancora piccolo e pedalava su un triciclo – e lo sentivo frenare: lo prendevo in giro. Solo che lui aveva visto il vigile giù in fondo alla discesa, io no».
I go-kart e gli altri regali ricevuti nei mesi successivi al Vajont sembravano quasi spropositati: «Eravamo al centro di mille attenzioni e per dei bambini di montagna come noi era strano. Giocattoli di questo tipo, poi, nemmeno sapevamo esistessero. Prima di allora, per giocare a calcio facevamo le porte con le latte da un litro del benzinaio di fianco alla chiesa».
I bambini dei go-kart hanno vissuto parte dell'infanzia tra le macerie: «Qui era una cosa spaventosa, un cantiere aperto: si doveva ricostruire tutto, dalle fogne in su». La ricostruzione di Longarone è partita a rilento, e poi ha accompagnato tutta la loro adolescenza. C'è chi se n'è andato, appena ha potuto.
Nel '71, i bambini di allora avevano ormai quasi 18 anni: «I cantieri, qui in paese, di notte lasciavano fuori parte del materiale – Sacchet ricorda a voce alta, sorridendo – e noi ogni tanto prendevamo una trave. Le abbiamo usate per rimettere a posto un vecchio fienile, che è diventato il Club Fortuna». Amadio ci tiene a puntualizzare: «Fu la prima discoteca della provincia. Almeno, secondo noi: certo è che salivano fin quassù anche dal bellunese, per ballare Jimi Hendrix e i Jethro Tull». La foto dei go-kart – che venne pubblicata nell'articolo uscito su Epoca il 22 dicembre – è surreale e potente: racconta insieme la desolazione e la voglia di rinascita del dopo Vajont.
La realtà di Longarone, allora, era davvero difficile: «Di notte non si riusciva a dormire, o ci si svegliava con il terrore dell'acqua e della diga». Quasi tutti si ritrovavano senza più nulla, incapaci di ripagare i debiti, con la prospettiva (e la paura) di essere costretti a diventare degli “assistiti a vita”.
Proprio mentre i bambini ricevevano il loro San Nicolò, il sindaco Terenzio Arduini veniva ricevuto a Roma dal ministro dei Lavori Pubblici, e scopriva che Longarone non avrebbe potuto essere ricostruita lì dov'era: bisognava spostarla verso Ponte nelle Alpi, perché i due laghi rimasti nel bacino non erano sicuri – così si diceva. Mentre i bambini scorrazzavano sul pavimento pulito della vecchia chiesa, gli adulti pensavano davvero che quello del '63 sarebbe stato l'ultimo Natale di Longarone. Non fu così, per fortuna: gli abitanti si impuntarono, e con l'arrivo dell'anno nuovo fecero anche le barricate, pur di ricostruire il loro paese a Longarone.
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