Gianni, malgaro storico «Mio padre era più bravo»

Tutta la famiglia Pescosta di Sappade è impegnata nel settore, in stalla a fare formaggio e a gestire l’agriturismo. E poi c’è la storia di Hermann Follador



Sono appena stati qui una decina di agricoltori austriaci, e Gianni ha spiegato loro come fare la ricotta affumicata. Ha mostrato l’affumicatoio, le ricotte stese al sole. Ora può finalmente indossare grembiule e stivaloni bianchi – la moglie lo aiuta a infilarli – e mettersi a lavorare il latte in una vasca di acciaio che ci si potrebbe nuotare dentro.

È tardi: il caldaista ha appena finito di riparare un guasto che negli ultimi giorni aveva impedito di preparare il formaggio.

il malgaro storico

Perché questo fa Giovanni Pescosta di Falcade, detto Gianni: fa formaggio. Da una vita. A dirgli che ha la fama di essere uno dei malgari storici dell’Alto Bellunese, gli ridono gli occhi e un po’ si ribella: «Eh!, anche se facessi formaggio per altri cento anni, non diventerei mai bravo com’era mio padre».

La prima stagione in malga Gianni l’ha fatta a 4 anni: è salito Ai Lach con il nonno. A 5 anni ha cambiato, ed è andato a malga Boer con il papà. L’anno successivo, ancora uno spostamento: con lo zio a malga Le Buse, dove è rimasto per dieci stagioni.

«In famiglia abbiamo gestito un po’ tutte le malghe della zona, e a dire il vero è stato proprio mio nonno Fortunato il primo della vallata ad aver preso in mano una malga, negli anni Venti. Prima chi aveva mucche, quassù, se le teneva ben strette anche d’estate: il latte si conferiva alla latteria turnaria – ce n’era una anche a Sappade. Erano solo i bellunesi e i feltrini che portavano le loro vacche in malga, non quelli del posto. Le vacche servivano a casa».

IMPEGNO FAMIGLIARE

È una giornata di sole, a malga Valles Alto. Alle 11 di mattina comincia a fare un bel caldo, iniziano ad arrivare le prime auto di turisti curiosi, si preparano i primi taglieri per placare languori di stomaco e curiosità gastronomiche.

La moglie di Gianni sta in cucina con la nuora, il figlio Nicola si occupa della mungitura e di fare fieno. Gianni è l’addetto al formaggio, “finché la salute me lo permette”. L’altro figlio Fabrizio, agrichef, gestisce l’agriturismo Piccola Baita, che si trova a Sappade, di fianco a casa. Il fratello di Gianni lavora da una vita a malga Valles Basso.

«Ci siamo cascati un po’ tutti! E pensare che mio padre non voleva nemmeno insegnarci il mestiere: era una vita troppo dura, secondo lui, noi dovevamo fare altro. Era un mastro casaro eccezionale – aveva fatto i cinque anni di scuola al Mas – ma non voleva proprio che noi seguissimo le sue orme. E invece. ..».

A sedici anni Gianni ha lasciato la vita in malga, e si è buttato nell’edilizia. Tra gli anni da militare e quelli a lavorare come muratore, stava davvero per seguire i desideri di suo padre: «Mi ero stufato. A mungere 23 mucche mattina e sera, da giovane, ti passa la voglia. Non dormi la notte, per il male alle mani – per dirne solo una. E poi non ne potevo più di stare alle dipendenze di altri».

A ventidue anni però si avventura a prendere in gestione una malga “solo per noi”: malga Ai Lach era abbandonata da tempo, scomoda, piccolina. Ma «c’era il gusto di riuscire a non far più lavorare mio papà per altri, dargli una mano. E di veder nascere un’attività da zero». Quando il papà si ammala, Gianni rimane a malga Ai Lach con i figli piccoli e la moglie. Ci resta 25, 30 stagioni – non ricorda neanche più bene. Si inventa di dar da mangiare a chi arriva a trovarlo parecchi anni prima che nascesse anche solo l’idea dell’agriturismo.

Oggi dà una mano al figlio Nicola, «che ha anche più passione di me», a malga Valles Alto – una malga più grande, dove riescono a tenere tutte le loro bestie, le vacche da latte, le manze, i vitelli, gli asini, i maiali… Continua a fare formaggio, la cosa che gli piace di più, della sua vita di malgaro.

«Ho cominciato a 12 anni, a metter le mani nel latte, e da allora non ho mai smesso, nemmeno quando facevo il muratore. Perché il formaggio è una cosa nuova tutti i giorni, entusiasmate. Oggi c’è il temporale, domani la pioggia è più acida, il giorno dopo le mucche sono nervose… E tutti i giorni il latte è diverso, e son diverso io: ma tutti i giorni si fa formaggio, e si prova a farlo il più buono possibile, ché chi lo mangia ne sia contento».

MALGA BOSCH BRUSà

Quando non è in malga, Gianni Pescosta vive a Sappade, magnifica frazione sopra a Falcade, e a Sappade vive pure Hermann Follador, che da sempre passa la stagione estiva in malga Bosch Brusà, alle pendici del Col Becher. Di anni Hermann ne ha quasi trenta in meno, rispetto a Gianni, ma la passione resta la stessa.

Hermann gestisce la malga assieme ai genitori. Il padre è casaro pastore: si occupa della mungitura e del formaggio, e finite le prime occupazioni della giornata parte al pascolo con le vacche. «Probabilmente è uno degli ultimi pastori che accompagnano le mucche al pascolo, perché su da noi c’è da stare attenti, è tutta una roccia e un precipizio». La madre di Hermann sta in cucina; lui – che ha fatto l’alberghiero – la aiuta soprattutto con i dolci, pulisce le stalle, si occupa dei rifornimenti e del fieno per le bestie.

Di mucche a Bosch Brusà ce ne sono poche, solo le loro dieci, che il resto dell’anno vivono in paese, nella stalla di fianco casa. La malga è davvero piccolina, si raggiunge solo a piedi, ed è attorniata da crode cangianti, prati e bosco. Non è una malga tra le più comode: eppure, Hermann non la cambierebbe con nessun altra al mondo. «Non la mollo neanche a morire, questa qui. Non potrei mica lavorare in fabbrica, star su chiuso tutto il giorno. Qui sono in mezzo alla natura, lavoro con le bestie, e mi piace da matti».

A 40 GIORNI IN MALGA

Hermann è salito la prima volta a Bosch Brusà che aveva 40 giorni: da allora, ci è tornato tutte le estati. D’inverno lavora sugli impianti, e sta dietro alle bestie. Se ha un giorno, o qualche ora libera, va in montagna: «Il mare non lo sopporto, così piatto, cosa potrei mai fare tutto il giorno? Invece i sentieri di qui li conosco tutti, e così le malghe».

Ha un quadernetto in cui si annota tutto quel che riesce a scoprire, delle malghe della zona, e di quelle che va a visitare: la planimetria di oggi e la forma della malga 50, 60, 80 anni fa – dove stava la cantina del latte, dove facevano il formaggio.

Dietro di lui, che sfoglia le pagine del quaderno e racconta della slavina che distrusse la malga Valles de Mez, ci sono i volti in bianco e nero dei suoi nonni. E sul tavolo stanno sparse decine di foto: facce serie e sorrisi, montagne, vacche, fazzoletti in testa e bambini che scorrazzano nei pascoli. Probabilmente un secolo di storia casearia della valle del Biois. E tra le facce ci sono anche quelle dei Pescosta, nonno Fortunato compreso. Lineamenti diversi, ma sempre quella luce lì, negli occhi. —





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